ROMA – «Hey you, don’t tell me there’s no hope at all / Together we stand, divided we fall» sono i versi dei Pink Floyd che riecheggiano dalla moto di Lang nel deserto del Gobi e fanno risuonare i temi le parole chiave di Black Dog, film di Guan Hu vincitore della sezione Un Certain Regard a Cannes nel 2024 al cinema dal 27 febbraio con Movies Inspired. Hope (speranza) perché l’ex celebrità locale Lang, dopo essere stato in prigione per omicidio, torna nel suo villaggio natale nella periferia del deserto del Gobi per iniziare una nuova vita ed evitare che la malavita lo trovi per vendicarsi di aver ucciso il nipote di uno dei boss; together (insieme) e divided (divisi) perché il nucleo centrale del lungometraggio è il rapporto che instaura Lang con un cane randagio che morde le persone e cercato da tutta la città, un’amicizia che trascende lo spazio e il tempo di una Cina rurale che si prepara alle Olimpiadi del 2008 e dovrà cambiare e trasformarsi per sempre.

Sono i cani i veri protagonisti di Black Dog, centinaia di esemplari che vagano in una città sempre più vuota e abbandonata dove la Storia viene trasmessa dagli altoparlanti, dove un imminente eclissi solare e le Olimpiadi sono il simbolo contraddittorio di un progresso ricercato con estrema prepotenza. Essere umani e cani che si muovono insieme dentro un paesino sperduto nel deserto del Gabi che deve modernizzarsi, smantellare lo zoo, chiudere teatri e negozi per fare spazio al futuro; è dentro questo microcosmo che si incontrano un magro cane nero e un uomo con un passato che continua a perseguitarlo e un presente costituito da un ritorno a casa complicato e solitario. È la loro unione a riconciliarli in una dimensione di sostegno e compagnia per combattere ad armi pari una Cina che li spinge via, che li vuole estirpare per lasciare spazio a qualcos’altro; come ogni rapporto, il loro inizia con lo scontro (Lang vuole catturarlo per ottenere la taglia e il cane lo morde), prosegue con il confronto e si sviluppa come un rapporto fraterno.

Sono la cura per i dettagli che rendono Black Dog un film grande: il sidecar che Lang sulla moto per fare spazio al nuovo amico a quattro zampe, la zampa del cane sul corpo ormai inerme del padre di Lang, gli edifici vuoti, il suono della televisione e della radio che raccontano una Cina lontana da quel paesino immerso nella sabbia. Guan Hu disegna e progetta un film sulla scia del lavoro filmico di Jia Zhangke, il portavoce più importante di quella generazione di registi cinesi che hanno costruito la loro filmografia sulle concetto di cambiamento e tutte le molteplici contraddizioni di una Cina divisa tra tradizione e progresso; Jia Zhang-ke, oltre a fare una piccolo ruolo all’interno del film, è una presenza che echeggia in ogni scelta narrativa e visiva: gli edifici smantellati, la Storia ascoltata, la polvere, il vuoto e il silenzio, l’abbandono dei luoghi. E Black Dog diventa così un altro importante tassello per comprendere la complessità di una Cina che vuole essere sempre più simile alle potenze occidentali ma che non riesce a lasciarsi indietro un retaggio e un passato che non coincidono con i valori che tenta di inseguire.
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