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The Trainer | Vito Schnabel, Bella Thorne e lo sgangherato Sogno Americano di Tony Kaye

Julia Fox, Bella Thorne, Lenny Kravitz e un film sulla fortuna e il potere delle idee: Prossimamente…

Vito Schnabel in una scena di The Trainer di Tony Kaye, prossimamente al cinema
Vito Schnabel in una scena di The Trainer di Tony Kaye, prossimamente al cinema

ROMA – Chi l’avrebbe mai immaginato, che un regista come Tony Kaye, del quale è bene, se non addirittura necessario ricordare titoli come American History X e Detachment – Il distacco, a distanza di tredici anni, sarebbe potuto tornare a fare cinema, portando a compimento un progetto tanto folle e fuori dal tempo, quanto dolce e unico nel suo genere come lo è The Trainer? Pochi, forse nessuno. Eppure è successo. Presentato in anteprima mondiale alla 19° edizione della Festa del Cinema di Roma, il quinto lungometraggio da regista di Tony Kaye – senza considerare la produzione documentaristica -, si prende gioco dei nostri sogni più bizzarri e sconsiderati e così del linguaggio televisivo, che incessantemente li alimenta, dandoci in pasto menzogne e illusioni di ogni sorta. Parodiando infine lo stardome hollywoodiano, che non è soltanto cinematografico, ma anche musicale e d’impresa. Ecco perché Kaye questa volta, affidandosi ad uno script non suo, dà vita ad un cast che tutto appare fuorché convenzionale e nient’affatto in linea con l’offerta corrente del panorama cinematografico hollywoodiano e più in generale statunitense. Non è quello ciò a cui mira, piuttosto ad un vero e proprio ensemble di artisti, legati ad aree estremamente differenti tra loro e pronti a tutto su richiesta del regista stesso, perfino a calunniare Hollywood. Poiché è semplice, non appartenendo a quel mondo, dunque da outsider veri e propri, possono permetterselo senza alcun inconveniente. Qualcosa che ricorda alla lontana il cinema di John Waters e ancor prima la Factory di Andy Warhol.

Vito Schnabel e Julia Fox in una scena del film
Vito Schnabel e Julia Fox in una scena di The Trainer

Ne è esempio perfetto il protagonista Jack Flex. Interpretato dal quasi esordiente Vito Schnabel (lo abbiamo visto in Feud, seppur in un ruolo secondario). Flex non è nient’altro che l’incarnazione della più assoluta e radicale forma di debolezza e mediocrità, che causata da un trauma mai opportunamente elaborato, è votata all’imbecillità. Non si parla infatti del celebre idiota Coeniano, cui tutto accade per via del caos e talvolta perfino del caso, ma dell’imbecille. Colui che sceglie di sbagliare pur essendone consapevole, pronto più che mai agli insulti e alla violenza subita, nonostante poi, riesca perfino a “riscattarsi”, facendola propria, in nome di un sogno che dovrà essere concretizzato, nonostante il sangue. Cioè la vendita ufficiale di The Havey Hat, un bizzarro e visivamente agghiacciante cappello, che a suo dire dovrebbe migliorare la muscolatura, se non addirittura la qualità di vita di ogni possibile acquirente. Ad aiutarlo nell’impresa (im)possibile, un manipolo di individui altrettanto folli e deliranti. I personalissimi freaks di Tony Kaye, interpretati da Steven Van Zandt, Bella Thorne, Lenny Kravitz, Paris Hilton e Gus Van Sant. Seppur il plot risulti lineare, è bene ricordare che a firmare lo script di The Trainer non è Tony Kaye, ma il protagonista del film Vito Schnabel, in compagnia di Jeff Solomon, fino ad ora interprete secondario di prodotti televisivi di piccola e media fama. I due, neanche a dirlo, si sono sbizzarriti, proprio perché estranei a qualsiasi logica cinematografica convenzionale. Come se non fosse sufficiente, Tony Kaye all’età di settantadue anni, dà vita più che consapevolmente, ad un cinema mai così distante dalle sue precedenti opere, figlio di un linguaggio che ad oggi, ci è inevitabile considerare fuori tempo massimo, appartenente a MTV e ad una certa regia da videoclip dei primi anni ‘2000 e da allora irrintracciabile.

Vito Schnabel in una scena di The Trainer
Vito Schnabel in una scena di The Trainer

Tra citazionismo cinematografico accennato e perfino dichiarato – torna la disperazione degli ultimi e dei freaks, propria del cinema di Sean Baker e così alla narrazione sotto acidi e steroidi di Harmony Korine -, The Trainer si compone di formati e riprese estremamente differenti tra loro, incurante e forse perfino orgoglioso del suo linguaggio grezzo, volutamente kitsch e camp. Una ricerca stilistica che immediatamente si allinea, alla resa demenziale dello stardome hollywoodiano, apparentemente irraggiungibile poiché popolato di star, eppure altrettanto squallido, delirante e popolare, come la strada principale di una qualsiasi metropoli americana. Echi di Red Rocket ci suggeriscono la via. Tony Kaye invece, sembra preferirne un’altra. Poiché Jack Flex non è Mikey Saber. Non possiede l’autostima generata da un enorme pene. Non possiede nemmeno un cervello. Tutto ciò che ha, è proprio The Havey Hat. Che sia questa la via più funzionale, esilarante e riuscita? Non è dato saperlo, ma una cosa è certa, la crisi d’anzianità di Tony Kaye, ha dato vita ad un cinema irripetibile, sregolato e unico nel suo genere, che vale la pena d’essere visto e ricordato. Lunga vita a Jack Flex, lunga vita a The Havey Hat.

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