in

Luigi Di Capua: «Holy Shoes, il cinema politico e l’ossessione del regista»

L’idea, la scarpa, il cinema politico, Elio Petri, l’opera prima: Al cinema con Academy Two

Luigi Di Capua racconta a Hot Corn la sua opera prima: Holy Shoes, dal 4 luglio al cinema con Academy Two

ROMA – Cosa ci spinge a desiderare un orologio, un paio di scarpe o l’ultimo telefono uscito? Cosa cerchiamo di ottenere attraverso gli oggetti? Potere? Sicurezza? Amore? Holy Shoes esplora il rapporto tra l’uomo e l’oggetto, individuando nella scarpa il simbolo cardine del potere disfunzionale che gli oggetti esercitano su di noi. Attraverso le storie di quattro personaggi le cui vite, in forme e modalità differenti, vengono cambiate o messe in pericolo dalle scarpe, oggetto simbolo del desiderio per eccellenza. Diretto da Luigi Di Capua al suo debutto da regista in un lungometraggio e con protagonisti – tra gli altri – Carla Signoris, Simone Liberati, Isabella Briganti, Denise Capezza, Ludovica Nasti, Orso Maria Guerrini, Raffaele Argesano e Tiffany Zhou, Holy Shoes racconta cosa siamo disposti a fare per trovare la nostra identità nel mondo, fino a che punto ci spingiamo per essere amati e accettati. Racconta un mondo in cui tutti desideriamo ciò che non abbiamo, in cui tutti vogliamo essere ciò che non siamo. Dal 4 luglio al cinema con Academy Two.

Denise Capezza in un momento del film
Denise Capezza in un momento del film

L’IDEA – «Il punto di partenza di Holy Shoes è la scarpa come un elemento parossistico per raccontare il valore esagerato e disfunzionale che diamo agli oggetti in generale, e che è di fatto un oggetto primario. Teoricamente ci serve per camminare, qualcosa per sopravvivere, e il fatto che adesso sia stato caricato di un così tale valore sicuramente è un punto di partenza che me le ha fatte scegliere. E poi, fino a trenta, quarant’anni fa, le scarpe erano un qualcosa ad appannaggio esclusivamente femminile. Invece adesso, con l’esplosione della cultura street e delle snickers, questa cosa è cambiata moltissimo. L’universo maschile è completamente avvolto, come il femminile, dalla stessa passione e lo stesso desiderio. La scarpa, per me, ha un valore sia come metro di giudizio delle persone sia che cinematografico. Non avrei mai fatto un film sul consumismo parlando dei telefoni. C’è una battuta di Il buio oltre le Hogan, dei The Pills, in cui dico: le scarpe sono lo specchio dell’anima, e questa cosa in qualche modo mi è rimasta».

Una scena di Holy Shoes
Una scena di Holy Shoes

CINEMA E POLITICA – «Quando si cerca di fare un film che racconta di aspetti sociologici, il pericolo è fare un film eccessivamente politico. La politica, secondo me, nei film deve essere veicolata sempre attraverso più personaggi e più componenti. Certi film politici, quando sono “tanto politici”, rischiano di invecchiare male. Tipo alcuni film di Elio Petri, tutti riuscitissimi, ma alcuni come, non so, Todo Modo, patiscono il tempo. Un film come Parasite invece, (distribuito proprio da Academy Two), è un esempio virtuosissimo di come puoi fare politica attraverso un percorso emotivo. Se pensi di voler fare un film politico c’è il pericolo che tu mi risulti, poi, spocchioso. Se sei regista, prima di tutto ci sono le immagini, i personaggi, le emozioni, e poi c’è un cappello generale che racchiude tutto il senso della storia, come abbiamo fatto noi con Holy Shoes. Se però fai un film politico dritto per dritto secondo me, come dire, bisogna poi fare attenzione a trovarvi un equilibrio».

Holy Shoes, opera prima di Luigi Di Capua, al cinema con Academy Two
Holy Shoes, opera prima di Luigi Di Capua, al cinema con Academy Two

L’OPERA PRIMA – «Il cinema è così, un po’ ti salva, un po’ ti ammala, ma è così. Se intendi stare al mondo in un certo modo, sai che comunque devi poter fare un profondo sacrificio per poter fare film. E così, e non è nemmeno detto che poi vengano bene, eh? Talmente è il tempo che tu impieghi per fare un film che non avrebbe senso farlo se non provandolo a fare molto bene. Ci sono anni della tua vita lì, tre anni e sono tanti tre anni! Se lo fai con la mano sinistra – come si dice in questi casi – non avrebbe senso. Fare qualcosa senz’anima…cioè, a quel punto tanto vale che vai a fare l’operaio, sarebbe comunque meno faticoso che fare cinema: È insostenibile. Fare un film ti forma a livello professionale e umano, hai una grande responsabilità addosso, devi gestire imprevisti in continuazione e una serie di cose che sinceramente mi hanno reso più un padre che un regista. Più maturo di prima che non lo avessi cominciato. Convivi con l’ansia e non è di per sé un elemento negativo…».

Lascia un Commento

Eddie Murphy è pronto a tornare in azione! Un piedipiatti a Beverly Hills: Axel F. di Mark Molloy, disponibile su Netflix

VIDEO | Eddie Murphy, Axel Foley e il final trailer di Un piedipiatti a Beverly Hills: Axel F

Daisy Edgar-Jones ci accompagna dietro le quinte di Twisters di Lee Isaac Chung, dal 17 luglio al cinema con Warner Bros Pictures

VIDEO | Con Daisy Edgar-Jones dietro le quinte del film Twisters