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Isabella Briganti: «La mia Agnese, il ruolo delle scarpe e la rivoluzione di Holy Shoes»

Le scarpe, la simbologia, l’identità, la vita, il ruolo dell’attore: Dal 4 luglio al cinema con Academy Two

Isabella Briganti racconta a Hot Corn il suo ultimo film: Holy Shoes, opera prima di Luigi di Capua, dal 4 luglio al cinema con Academy Two
Isabella Briganti racconta a Hot Corn il suo ultimo film: Holy Shoes, opera prima di Luigi di Capua, dal 4 luglio al cinema con Academy Two

ROMA – Cosa ci spinge a desiderare un orologio, un paio di scarpe o l’ultimo telefono uscito? Cosa cerchiamo di ottenere attraverso gli oggetti? Potere? Sicurezza? Amore? Holy Shoes esplora il rapporto tra l’uomo e l’oggetto, individuando nella scarpa il simbolo cardine del potere disfunzionale che gli oggetti esercitano su di noi. Attraverso le storie di quattro personaggi le cui vite, in forme e modalità differenti, vengono cambiate o messe in pericolo dalle scarpe, oggetto simbolo del desiderio per eccellenza. Diretto da Luigi Di Capua al suo debutto da regista in un lungometraggio e con protagonisti – tra gli altri – Carla Signoris, Simone Liberati, Isabella Briganti, Denise Capezza, Ludovica Nasti, Orso Maria Guerrini, Raffaele Argesano e Tiffany Zhou, Holy Shoes racconta cosa siamo disposti a fare per trovare la nostra identità nel mondo, fino a che punto ci spingiamo per essere amati e accettati. Racconta un mondo in cui tutti desideriamo ciò che non abbiamo, in cui tutti vogliamo essere ciò che non siamo. Dal 4 luglio al cinema con Academy Two.

Una scena di Holy Shoes
Una scena di Holy Shoes

LE SCARPE, I SIMBOLI – «In Holy Shoes le scarpe sono la continuazione dell’identità, non è più scissa dall’oggetto, la scarpa è ciò che rappresenta meglio, in assoluto, perché parte fondamentale di quello che sei nel tuo insieme. E questo non da oggi, no? Ma da quando è iniziato il famoso benessere. Tant’è che Nanni Moretti diceva proprio questo: una persona, per capire chi è, gli guardo le scarpe, e da lì, infatti, è stato un crescendo. Con Holy Shoes stiamo facendo una rivoluzione, la gente deve essere chiamata in massa a vederlo perché è un film di denuncia quello di Luigi, Non è un racconto sulle scarpe, sugli oggetti, sui desideri, noi, con Holy Shoes, abbiamo fatto un inno alla dannazione, ma una dannazione che fa risorgere. Ce la possiamo ancora fare, non è che ci hanno tolto il cervello! D’altronde, di cosa ci nutriamo oggi? Di immagini della perfezione. Una ci casca, fa di tutto per essere così. Alcune si fanno crescere le unghie che sembrano zampe di gallina, ti edulcori fino a che non diventi un mostro: L’immagine della perfezione spesso non esiste…».

Isabella Briganti in un momento del film
Isabella Briganti in un momento del film

ESSERE FELICI – «La fuga dall’anima, quello che poi uno è e ha dentro, la vita poi, di fuori, si scorge, organicamente. Se uno guarda il cielo, le stelle, si fa una passeggiata nel parco, va a fare un bagno in mare, è felice. Cioè non è che per essere felici c’è bisogno di chissà che, però ci sono tante strutture e sovrastrutture che ci fanno credere che per esserlo bisogna avere dei desideri che spesso vanno a cozzare contro qualcosa che quando hai ottenuto non ti riempie, non ti appaga, e fi fa sentire vuoto. È un circolo vizioso, no? Il personaggio di Agnese, in particolar modo – ma come tutti i personaggi di Holy Shoes – attraverso questo processo di evoluzione fanno un cammino evolutivo. Una volta che s’è toccato il fondo c’è di buono che per risalire qualcosa deve cambiare. Nella scena finale, infatti, soffertissima, Agnese dà letteralmente uno stacco di diecimila anni a quella di inizio film grazie a quella discesa negli inferi…».

Isabella Briganti in una scena di Holy Shoes
Isabella Briganti in una scena di Holy Shoes

IL MESTIERE D’ATTORE – «La cosa che m’è rimasta di più della lavorazione? Per me la prova attoriale, senz’altro, una così un’artista ambisce ad averla all’apice della sua carriera, di certo non all’inizio né a metà strada. Sono felice per tutto il lavoro che abbiamo fatto – tanto – perché quando siamo arrivati sul set non è che c’era poi tanto tempo per provare. Quindi serviva essere pronti per portare a casa il risultato. A parte poi che il percorso di un attore è di studio perenne. I più grandi ti insegnano proprio questo che pure che hanno una veneranda età continuano a studiare e perfezionarsi tutti i giorni. Se hanno una prova da affrontare studiano come pazzi, è fondamentale. E questa prova, come quella in Holy Shoes, così riuscita a mio parere, ha nella soddisfazione il suo premio più bello di un percorso di sofferenza, di entusiasmo, ma anche di sacrifici. Non abbiamo affrontato situazioni facili sul set, ed è gioia allo stato puro dopo aver sudato per ottenere una simile prova e che questa sia riconosciuta…».

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