ROMA – Marco, Guido, Leo, Luisa, Gaelle e Mattia hanno madri diverse, non sono tutti figli biologici dello stesso padre ma hanno un’unica vera figura paterna di riferimento: Manfredi Alicante. Quando quest’ultimo viene a mancare, si ritrovano per la prima volta tutti insieme nella casa paterna a Bordeaux, vivendo l’illusione di poter diventare una famiglia unita. Ma ormai ognuno di loro porta con sé una storia, un’identità e tornare indietro non sarà facile. Parte da qui Sei fratelli, il nuovo film di Simone Godano con protagonisti Riccardo Scamarcio, Adriano Giannini, Gabriel Montesi, Valentina Bellè, Linda Caridi, Claire Romain, Mati Galey e Gioele Dix, dall’1 maggio al cinema con 01 Distribution.

Un film personale per Godano, Sei fratelli, e che parte da molto lontano: «La partenza è stata una chiacchierata con un amico qualche anno fa. Lui doveva dare un’importante notizia alla sorella ma non la riusciva a rintracciare perché non aveva i suoi contatti, non sapeva dove vivesse, non aveva sue notizie da anni. Era figlia dello stesso padre ma di madre diversa, come altri suoi fratelli. Bizzarro pensai, io che ho un solo fratello e i miei genitori stanno insieme da 53 anni. Con il passare del tempo mi sono reso conto di quante famiglie allargate ci siano ai giorni nostri, di quanti fratelli che parlano del fratello di mio fratello o della madre di mio fratello».

Secondo Godano, però, c’è un elemento che sembra accomunare le cosiddette famiglie allargate: «Penso abbiano una sola caratteristica comune: ognuna è diversa dalle altre. Sono famiglie spesso numerose dove esistono accese rivalità, gelosie, conflitti sopiti, rapporti che vivono di momenti di grande amore alternati a lunghissimi silenzi, risentimenti che neanche il tempo riesce a ricucire. Ecco noi raccontiamo questo tipo di famiglia, in Sei fratelli, la famiglia Alicante, in cui ognuno potrà trovare qualcosa della propria esperienza di vita sia personale sia delle persone che gli stanno più vicino». In quelle degli Alicante, c’è un tempo sospeso, illusorio, dall’andamento discontinuo. di sei individui isolati, in continuo conflitto, eppure costretti dalle circostanze alla riunione e co-abitazione.

Individui, uomini e donne danneggiati e (im)perfetti, di cui Godano fa riaffiorare traumi scavando a piene mani nelle memoria condivisa. Nell’arco del tempo narrativo di una settimana – tra sorprese e ipocrisie, rancori e frustrazioni che vanno ad accompagnare una lunga e difficile elaborazione del lutto – il racconto di Sei fratelli va a rimescolare le carte di quella memoria, concedendo ai suoi protagonisti nuovi inizi e riappacificazioni, asce di guerra sotterrate, amori riaffiorati e altri esplosivi, nelle forme di una dramedy equilibrata dove, un po’ alla maniera dell’immortale Il Grande Freddo di Lawrence Kasdan del 1983, il dramma funge da base e impronta, per poi lasciare che l’umorismo scorra sottotraccia affiorando in alleggerimento in punti strategici.

Tra lacrime e risate, per lo spettatore è istantaneo entrare in empatia con gli Alicante. Semplice, del resto, quando puoi disporre di un cast di talenti di prim’ordine come quello di Sei fratelli. E se è vero che i volti di Scamarcio e Giannini non deludono le attese, fungendo da attrattiva principale per il grande pubblico, è agli agenti scenici di Montesi, Caridi e Bellè che Godano regala, forse, lo sviluppo più umano e dolce. Eppure rarefatto, perché per gli Alicante, la magia e la serenità figlia di nuovi, o forse più semplicemente ritrovati, equilibri, è null’altro che una parentesi.

Un potere che smette i suoi effetti allo scadere del settimo giorno. Qualcuno potrebbe puntare il dito dicendo che è una scelta che lascia l’amaro in bocca – o per meglio dire, un’acre malinconia – ma per citare una delle linee dialogiche chiave del film (e che della vita sembra quasi un manifesto in una frase): «Siamo nel mondo reale, bisogna sapersi accontentare». Sei fratelli, un piccolo-ma-grande film di cui sentiremo parlare tanto e a lungo.
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