ROMA – Nel 1755, lo squattrinato capitano Ludvig Kahlen (Mads Mikkelsen) parte alla conquista delle aspre e desolate lande danesi con un obiettivo apparentemente impossibile: costruire una colonia in nome del Re. In cambio, riceverà per sé un titolo reale disperatamente desiderato. Ma l’unico sovrano della zona, lo spietato Frederik de Schinkel (Simon Bennebjerg), ha la presuntuosa certezza che questa terra gli appartenga. Quando De Schinkel viene a sapere che la cameriera Ann Barbara (Amanda Collin) e il marito servitore sono fuggiti per rifugiarsi da Kahlen, il privilegiato e perfido sovrano giura vendetta, facendo tutto ciò che è in suo potere per scoraggiare il capitano. Parte da qui La Terra Promessa (Bastarden in v.o.), il nuovo film di Nikolaj Arcel presentato in concorso a Venezia 80 e al cinema dal 14 marzo con Movies Inspired.

Tratto dal romanzo, Kaptajnen og Ann Barbara di Ida Jessen (inedito in Italia nda), il film è un progetto personalissimo per Arcel che ha scelto di raccontare la storia vera dell’idealista Capitano Kahlen per parlare di desideri, ambizioni e del caos della vita: «Con l’aiuto del brillante romanzo della Jessen, io e Anders Thomas Jensen volevamo raccontare una storia epica e grandiosa su come le nostre ambizioni e i nostri desideri siano destinati a fallire se rappresentano la sola cosa che abbiamo. La vita è un caos; dolorosa e sgradevole, bella e straordinaria, e spesso non la possiamo controllare. La Terra Promessa nasce da questa presa di coscienza esistenziale. I miei film precedenti riflettono la visione di un uomo con un solo scopo: la dedizione entusiasta verso la creazione di storie, ma non molto altro».

Il ritorno alla regia del cineasta danese a sette anni dalla cocente delusione del kinghiano La Torre Nera, infatti, è in grandissimo stile. Un kolossal magnificente, La Terra Promessa, popolato di silenzi, attese, percorso di speranza, sacrificio e indomito eroismo nella tenace rincorsa verso un ideale, un sogno, o più semplicemente un’occasione di grandezza. Quella del Capitano Kahlen e i suoi nobili propositi di civilizzazione in nome del Re, portato in scena da un Mikkelsen magnetico e intenso nella sua aura eroica scolpita addosso a un volto stanco, storico, pietrificato, alla ricerca del proprio posto nel mondo. Ad esso, Arcel posiziona all’angolo opposto del reticolato narrativo il nobile de Schinkel di un altrettanto ipnotico (e crudele) Bennebjerg con cui intessere una tesissima guerra psicologica giocata tutta su una dicotomia bene/male netta e brutale negli intenti e nella resa.

Un’opera straordinaria, La Terra Promessa, classica e moderna al tempo stesso, fluida, lineare, che cresce, evolve e vive nel caos di immagini pure e che come un organismo vivente decide e gestisce il respiro e il ritmo della scena a proprio piacimento offrendo più di un paio di suggestioni (una su tutte il malickiano I Giorni del Cielo) nelle sue forme di neo-western storico diretto verso un’ideale Frontiera scandinava. La definitiva maturazione di Arcel dopo il passo falso de La Torre Nera, o forse, più semplicemente, il ritorno a quanto di buono fatto vedere, nel 2012, con Royal Affair con cui divide l’anima valoriale, il sapore epico e il talismano Mads Mikkelsen. Un grande film.
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