MILANO – L’umanità condivide lo spazio sul pianeta con le macchine, robot e androidi incaricati di occuparsi di tutto ciò con cui gli umani non vogliono più avere a che fare: cucinare, stirare, svitare una vite o spazzare il pavimento. Ma sono anche incaricati delle leggi e della sicurezza della popolazione, e ci sarebbe anche da fidarsi di un umanoide con armatura e laser, se non fosse che sono loro i primi a disprezzare gli umani, a considerarli troppo inferiori e deboli. Tutti però fanno finta di niente e si godono le nuove vite, tra macchine volanti e case iper-connesse. È la vita nel 2045 secondo Jean-Pierre Jeunet, il regista francese che per la prima volta si imbarca nel genere fantascientifico con Bigbug, in streaming su Netflix.

La sua firma riconoscibile c’è tutta. I colori sono quelli de Il favoloso mondo di Amélie, la pungente ironia e la commedia “dark” affondano le radici fino al successo di Delicatessen nel 1991 (lo trovate su CHILI). Questa volta, però, il suo sguardo è rivolto al futuro, il nostro. Uno che non è difficile immaginare, visto quanto la tecnologia è già presente nelle nostre vite. Jeunet è però pur sempre un regista a sé, con i suoi toni sopra le righe e l’eccesso da inserire ovunque. Così, anziché abbandonarsi a quella fantascienza che il cinema conosce bene, al posto delle cupe città di Blade Runner, dei viaggi interspaziali di Kubrick e dell’azione di Terminator, il regista torna a una sorta di cinema da camera e la trasforma in qualcosa di molto vicino alla sit-com.

Bigbug si muove unicamente all’interno di una casa, quella di Monique. Dentro vi si ritrovano l’ex marito e sua figlia, il suo accanito corteggiatore con suo figlio e la vicina ficcanaso. Sono tutti in soggiorno quando inizia un colpo di stato degli androidi, e le porte della casa vengono bloccate. Nessuno può uscire. Costretti alla convivenza forzata e a sopportare il caldo – perché per le nuove leggi ambientali non si possono accendere liberamente i condizionatori – gli sfortunati abitanti devono vedersela con i quattro robot che si occupano della casa, sempre macchine, ma decisi ad approfittare di quel tempo per capire come funzionano gli umani e, forse, a sentirsi più umani anche loro.

La casa di Monique è pervasa da un’amara ironia. Sugli scaffali i libri sono tenuti come oggetti preziosi perché ormai sono proibiti (Bradbury ne sa qualcosa), nelle teche di vetro ci sono oggetti che noi diamo ormai per scontati, come un cubo di Rubik o un telefono con i fili, dei fogli scritti a mano sono opere d’arte. È la nostalgia di un passato che è il nostro presente a rendere la riflessione di Bigbug inquietante nonostante i toni da commedia. In un mondo dove un cane viene rimpiazzato da un clone affinché viva in eterno, la caducità che spesso dimentichiamo ci caratterizza diventa un peso non indifferente.

Tra una recitazione a volte eccessiva e i colpi di scena che aspettiamo ma non arrivano mai, Bigbug non è perfetto, ma è comunque troppo gustoso per perdersi nelle interminabili file dello streaming. Pieno di citazioni e frecciatine, come un terrificante Covid50 all’orizzonte, la sua distopia che mette a confronto le complicate emozioni umane e le macchine che non sono in grado nemmeno di comprenderle, figuriamoci emularle, è folle e geniale al punto giusto. A sette anni dall’ultimo film, Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet, Jeunet sta ancora cercando di eguagliare i grandi successi della sua carriera. Non sarà Bigbug a riuscirci, ma non per questo è una visione da lasciarsi scappare.
- I momenti di trascurabile felicità e Il favoloso mondo di Amélie
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Qui il trailer di Bigbug:
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