MILANO – «Hurbinek era un nulla, un figlio della morte, un figlio di Auschwitz. Dimostrava tre anni, nessuno sapeva niente di lui, non sapeva parlare e non aveva nome: quel curioso nome, Hurbinek, gli era stato assegnato da noi, forse da una delle donne, che aveva interpretato con quelle sillabe una delle voci inarticolate che il piccolo ogni tanto emetteva». Parte anche da qui, da questo terribile passo de La tregua di Primo Levi – la descrizione del piccolo Hurbinek – il racconto che Sandro Petraglia ha deciso di portare in televisione facendolo diventare La guerra è finita, una nuova serie in quattro parti in onda sulla Rai, in cui lo sceneggiatore (qui senza il socio Rulli) cerca di riflettere sul passato, un istante dopo la fine di tutto. Una pagina aperta sul calendario nell’aprile del 1945, quando la Seconda Guerra Mondiale finisce e il buio sembra iniziare a diradarsi. O forse no.

Petraglia scrive, Michele Soavi dirige e insieme riportano indietro le lancette e costruiscono una storia che pesca da molti elementi reali e immagina i destini di quattro vite in uno stesso luogo: un casolare nella campagna emiliana dove il partigiano Davide (Michele Riondino), l’ufficiale della Brigata Ebraica Ben (Valerio Binasco), la figlia di un industriale, Giulia (Isabella Ragonese) e il repubblichino Mattia (Carmine Buschini) si incontrano e si scontrano per istituire un rifugio per un gruppo di bambini scampati ai campi di concentramento, tutti orfani. «Per questo quel passo de La tregua di Levi in cui si racconta del piccolo Hurbinek», ha spiegato Petraglia, «è stato per me come una guida silenziosa durante i mesi della lavorazione, un riferimento continuo».

L’orrore dentro l’orrore dunque, la tragedia dei bambini nei lager, che nei campi erano come «uccelli di passo», trasferiti quasi immediatamente oppure portati direttamente nelle camere a gas. Erano bambini ebrei quindi non avevano diritto ad alcun tipo di futuro. Petraglia – che aveva già firmato la sceneggiatura de La tregua di Francesco Rosi – oltre alle pagine di Levi, è andato però a ripescare la storia del comune di Selvino, in provincia di Bergamo. Cosa successe a Selvino? Subito dopo la fine della guerra, ottocento bambini ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio, vennero accolti in una ex colonia fascista, Sciesopoli, in attesa di partire per Israele. La storia fu poi raccontata da Aharon Megged in un libro, Il viaggio verso la Terra Promessa, una storia di orrore e sopravvivenza con quei bambini disperatamente rivolti al futuro nel tentativo di rimuovere un passato indicibile.

«Nessuno di noi allora diceva nulla sulla propria famiglia o sui genitori», ha ricordato una superstite, «era troppo doloroso e difficile ricordare, ma tutti ricordavano bene cos’era accaduto». E allora la Sciesopoli di Petraglia diventa un casolare in Emilia, ma il senso non cambia: quei bambini cercano un futuro che sembrava impossibile e tra loro c’è anche il piccolo Giovannino (interpretato da Augusto Grillone), che per la paura non riesce più a parlare. Proprio come il piccolo Hurbinek di Primo Levi, «Hurbinek, il senza-nome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek morí ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento. Nulla resta di lui – egli testimonia attraverso queste mie parole».
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