VENEZIA – Soldi. Una montagna di soldi. Soldi accumulati, conservati in paradisi fiscali, poi ripuliti e infine immessi nuovamente sul mercato. Uno scandalo finanziario di proporzioni gigantesche che solo tre anni fa ha sconvolto il mondo dell’economia e della politica di circa 200 nazioni. Tutto questo racchiuso in due semplici parole: Panama Papers. Un vero e proprio terremoto, quello che ha colpito a più livelli leader governativi internazionali, tycoon potenti e personaggi famosi, che ha ispirato un regista versatile come Steven Soderbergh per la sua nuova fatica cinematografica targata Netflix, The Laundromat, presentata in Concorso a Venezia 76.

Based on some real shit leggiamo nel trailer del film. Allora andiamo con ordine e partiamo proprio dai fatti. Nel 2016 un’inchiesta giornalistica condotta dal Consorzio Internazionale dei reporter investigativi (l’ICIJ) finisce tra le mani dei cronisti tedeschi del Süddeutsche Zeitung. Il materiale in loro possesso è incredibile: un elenco lunghissimo di documenti, risalenti al 1977, che testimoniano con dovizia di particolari l’esistenza di oltre 214.000 società off-shore che avrebbero sfruttato i servigi dello studio legale panamense Mossack Fonseca per evadere le tasse.

Ma una cosa deve essere chiara: non è illegale custodire il proprio denaro in banche di nazioni con un regime fiscale agevolato (Panama, appunto). È illegale nascondere l’entità dei patrimoni con la volontà di non pagare le tasse nel paese di appartenenza, riciclando poi all’estero i ricavi derivati da traffici illeciti. Una sorta di Wikileaks al cubo, insomma, che ha coinvolto più o meno direttamente Capi di Stato come il presidente argentino Mauricio Macri, il primo ministro islandese Sigmundur Gunnlaugsson, il campione del Barcellona Leo Messi e addirittura il grande Stanley Kubrick.

Come raccontare dinamiche del genere, piuttosto complesse, in un film che possa affascinare il pubblico? Semplice direbbe Mr. Soderbergh: puntando sulla forza della storia scritta da Jake Bernstein, autore del romanzo Secrecy World: Inside the Panama Papers Investigation of Illicit Money Networks and the Global Elite, sulla sceneggiatura di Scott Z. Burns e sullo spettacolo. Puro e divertente spettacolo. E quando si parla in questi termini, il primo nome che viene in mente è quello di Meryl Streep. Nel film la strepitosa Meryl interpreta una donna che inizia a investigare su una falsa polizza assicurativa quando, alla morte del marito, scopre che il patrimonio familiare è stato prosciugato in maniera anomala.

La testarda Ellen Martin finisce quindi sulle tracce di due fascinosi avvocati, Jürgen Mossack (Gary Oldman) e Ramón Fonseca (Antonio Banderas). Tanto eleganti e sofisticati, quanto mefistofelici. Dunque, i meccanismi di scatole cinesi che hanno permesso ai due legali di prosperare in oltre 40 anni di lavoro, sono stati pazientemente decrittati dai giornalisti investigativi. «Stavo lavorando alla stesura di un libro quando ho ricevuto la telefonata di un collega della ICIJ. Mi ha raccontato a grandi linee di questa storia che avrei dovuto assolutamente seguire. E l’ho fatto» ha spiegato il premio Pulitzer Jack Bernstein.

All’inizio si è trattato solo di qualche migliaio di documenti da analizzare. Col tempo sono diventati oltre 11 milioni e mezzo. Bernstein ha lavorato così per un anno assieme ad altri colleghi, cercando in particolare di capire come il caso potesse essere legato al presidente russo Vladimir Putin che avrebbe evaso 2 miliardi di dollari. Tutto finito? Neanche per idea. Per Bernstein c’è ancora tanto da capire e numerosi malfattori da scovare. Il film di Soderbergh non fa altro che riportare interesse su una vicenda che riserverà ancora tante sorprese.
- Qui potete vedere il trailer di The Laundromat
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