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The Last Dance | Michael Jordan e l’emozionante racconto di una leggenda

La rocambolesca (ed esaltatante) ultima stagione di MJ ai Bulls diventa una docu-serie da sogno

The Last Dance
A mezz'aria con Michael Jordan

ROMA – L’èpica? secondo la Treccani, “Narrazione poetica di gesta eroiche, spesso leggendarie. Si distinguono un’epica tradizionale in cui l’elaborazione fantastica del racconto storico e la sua formazione in poema sono opera individuale”. E si citano l’Eneide di Virgilio, la Gerusalemme liberata di Tasso, l’Epopea di Gilgamesh. Oltre all’Iliade e all’Odissea, ovviamente. Racconti popolari che si fanno mito, la realtà che incontra il sogno e l’astratto. Così, dall’altra parte dell’Atlantico, non essendoci la tradizione millenaria dell’Asia, dell’Africa e dell’Europa, gli eroi dalle gesta fiabesche sono quelli dello sport. C’è chi corre forte, chi tira pugni e chi è capace di volare, lì dove solo i supereroi possono arrivare. Proprio come “MJ”, “His Airness”, “Air Jordan”. O, più semplicemente, Sua Maestà Michael Jordan.

Michael Jordan, The Last Dance
Michael Jordan si racconta in The Last Dance

Dunque, nel bel mezzo del panorama contemporaneo di storie e racconti, dal 20 aprile arriva su Netflix The Last Dance, l’omnia sul “il più grande atleta nord-americano del XX secolo“, secondo ESPN. Ma attenzione, se è sottintesa la sua grandezza, nello show in 10 puntate diretto da Jason Hehir, ci concentriamo soprattutto sull’emblematica stagione 1997-1998 dei Chicago Bulls, di cui Jordan era simbolo, timoniere e profeta. Quella stagione, per l’NBA, per la franchigia e per lo stesso MJ fu una vera e propria opera shakespeariana: da una parte lui, il coach (luminare) Phil Jakcson e le colonne portanti del roster – qualche nome? Scottie Pippe, Dennis Rodman, Ron Harper –, dall’altra Jerry Krause, General Manager che, dopo aver costruito il team dei sogni (sei titoli in sette anni, 1990-1998), era intento a smantellare la sua santissima schiera di angeli cherubini.

Quando eravamo Re: Dennis Rodman, Scottie Pippen, Michael Jordan, Ron Harper e Toni Kukoc. Photo by Nuccio DiNuzzo/Chicago Tribune/TNS

Il motivo? Qualche uscita decisamente infelice di Krause (per dirne una, “Non sono né i giocatori, né gli allenatori a vincere i titoli, è la società che li vince!), la scusa dell’età avanzata dei players o forse perché il rapporto tra il manager e Jackson si era incrinato e, di conseguenza, si erano ossidati gli anelli di una catena che proprio sull’allenatore-mentore facevano perno. Sta di fatto, che quella stagione, narrata nella serie da tante voci (compresa quella di Barack Obama) che fanno da cornice alla presenza illuminate di Jordan, fu ribattezzata da Jackson come “l’ultimo ballo”. Appunto, “the last dance”. E i risultati di squadra e individuali furono quasi irreali. Pensare che Jordan, arrivato nei Bulls nel 1984, come terza scelta in un Draft che fece la storia, ci mise un po’ a farsi accettare: non superava i due metri di altezza, preferiva gli allenamenti ai festini e, soprattutto, era di poche parole.

The Last Dance
Tra il parquet e il cielo

Prima di Jordan, i Bulls non se la passavano affatto bene: il vecchio Chicago Stadium era spesso deserto e la stagione 83-84 segnò 55 sconfitte. Ma le cose erano destinate a cambiare, lo schema ben presto divenne “palla a Jordan”. Il seme per l’immortalità era stato piantato. Nel giro di poche partite l’universo si accorse che una dio senza ali (ma con la capacità di lievitare) era sceso in terra per indicare a tutti la strada giusta da seguire, divenendo simbolo e ispirazione, capace di andare oltre il basket, toccando le corde più nascoste dell’anima. Proprio come fece un altro mito, Muhammad Ali. E, in The Last Dance, si narra con umiltà ed emozioni chi è davvero Jordan, parallelamente alla cronaca quasi cinematografica dell’ultima stagione ai Bulls, culminata con quel tiro in Gara 6, contro gli Utah Jazz, che diede al Novecento un senso tutto nuovo. Per sé, per i compagni e per il mondo interno, che guardava esterrefatto le gesta sospese a mezz’aria di un uomo volante. Tra il parquet e il cielo, dove addirittura le leggi della fisica diventano solo un’opinione. Be like Mike, be like Mike. Again I try, just need to fly “.

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Qui il trailer di The Last Dance:

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