BARCELLONA – Da pochi giorni qui a Barcellona si è conclusa la settima edizione del Barcellona Film Fest, uno degli eventi più popolari della Catalogna con una programmazione ricca di ospiti e proiezioni. Tra il cinema Verdi ed altre location, c’eravamo anche noi di Hot Corn, in mezzo a proiezioni, dibattiti e appuntamenti speciali. Ovviamente aspettavamo un nome più degli altri, protagonista di un incontro con stampa e pubblico molto intimo e rivelatore: Wim Wenders, premiato alla carriera. «Sono molto felice che il festival mi abbia voluto consegnare un riconoscimento», ha spiegato il regista, «ma non è mio. Va ai miei film e alla Fondazione Wim Wenders. Sono contento che Barcellona possa vedere le mie dodici pellicole in modo da conoscermi ancora di più e apprezzare maggiormente il mio lavoro». Profondi sospiri, secondi di silenzio e sguardi nel vuoto sono stati gli incipit di ogni risposta del regista, come se avesse dovuto iniziare una meditazione sulle sue parole. Nulla lasciato al caso, come un viaggio nel suo passato.

IL MIO CINEMA – «Nasco come pittore, sono un artista, ma il cinema è l’arte che mi ha permesso di unire tutte le discipline. I miei film sono come quadri, un immagine è come una pittura in cui metto insieme fotografia, arte, musica e immagine. Avvicinandomi al cinema, quando ero giovane, e iniziando poi a farlo, ho amato le pellicole di registi come Antonioni, Godard, Kurosawa. Sono stato affascinato da loro, autori per cui il cinema e la vita erano una cosa sola. Adesso posso dire che è la stessa cosa per me: io e il cinema siamo una cosa unica, è un elemento vitale per un autore, lo è per la mia vita di ogni giorno. Sono cresciuto a Düsseldorf, nel Dopoguerra, ero povero e per me il cinema era un momento speciale per uscire dalla tristezza della vita…».

IL FUTURO – «A quasi quarant’anni dalla Palma d’oro che ho vinto nel 1984 con Paris, Texas, questa volta ritorno a Cannes addirittura con due film, uno in concorso e un altro invece un documentario in 3D. Non voglio parlare troppo alla stampa di questi due lavori, perché sono felicissimo di averli fatti senza che nessuno lo sapesse. Li abbiamo girati senza riflettori. Nessun giornalista ne ha parlato o scoperto che esistessero fino alla conferenza di Cannes e penso sia la prima volta che mi succede in carriera. Così voglio mantenere questa situazione. Un film è un documentario in 3D, Anselm – Das Rauschen der Zeit, e l’altro si chiama Perfect Days, un film di finzione. Ma questo è tutto quello che dirò».

IO E JIMI HENDRIX – «Se non fossi stato un eterno ottimista non avrei mai fatto cinema. Non so come Woody Allen possa essere un regista essendo un tale pessimista. Credo che la mia carica di energia sia arrivata in questi anni attraverso i miei film anche al pubblico. Come diceva Jimi Hendrix nel suo album Are You Experienced, ecco, anch’io oggi sono esperto, sono un uomo che ha iniziato molti anni fa. Ricordo quando andai a Cannes per la prima volta, per L’amico americano, e non capivo bene quello che mi stesse succedendo. Ora sono navigato, so cosa succede, ma questo non deve farmi sentire arrivato, perché c’è sempre qualcosa da imparare. Credo non si debba mai cullarsi sull’esperienza, ma attingere da nuove situazioni e nuovi stimoli».

L’AMERICA – «Sono stato affascinato dai western di John Ford per i colori e la fotografia che avevano quei film. Continuo a dare molta importanza a questi due elementi perché nel mio cinema tendo a valorizzarli molto. Non solo: i paesaggi western hanno spesso ispirato i miei film, come Paris, Texas, anche se il mio obbiettivo non era girare western. Non è mai stato il mio genere. Le mie pellicole si basano sulla ricerca. Il soggetto della mia vita è la ricerca, che è senza dubbio alla base della mia filmografia. Anche oggi continuo a cercare l’identità, l’amore, l’anima e il senso della vita. Tutto questo deve riflettersi nei miei film. Con il mio cinema, in fondo, cerco risposte…».

I REGISTI DI DOMANI – «La prima cosa che i giovani aspiranti registi si sentiranno dire oggi è che se vogliono dedicarsi al cinema devono pensare ad un film come ad un prodotto. No. Questa è un’enorme bugia. Se pensi che il film che stai girando sia solo un prodotto, allora progetta automobili. Fai altro, ma non girare un film. Il cinema è molto di più. Il cinema fa parte della nostra cultura, come i libri, come Cervantes, come i quadri di El Greco. Fa parte della nostra tradizione e quella tradizione non è industriale. Non lo sarà mai. Allora ai giovani registi dico che facciano finta di pensare che i film siano prodotti, perché altrimenti non ve li lasceranno fare, ma nel vostro cuore dovete sapere che un film è molto di più. Dovete sapere che potete offrire qualcosa che nessun altro può dare…».

IL CINEMA TEDESCO – «Da giovane lo percepivo come un cinema lontano, troppo scuro e cupo. In quel periodo vivevo a Parigi ero squattrinato, volevo fare il pittore per cui avevo in mente altro, non certo la mia Germania. Con il tempo però, avvicinandomi al cinema, ho iniziato ad apprezzare il cinema tedesco, rivalutando Fritz Lang e tanti altri, dedicandogli anche alcuni dei miei film. Non li ho mai considerati i miei padri, ma i miei nonni. Le sceneggiature? Non le leggo. Amo girare film senza script, posso partire anche da una sola pagina, da cui iniziare e elaborare la storia. Non voglio sapere molto, mi piace l’incertezza, la curiosità di fare nascere un film senza tanta sicurezza. Trovo più stimolante non sapere. Sapere troppo mi blocca…».

IL 3D E LE PIATTAFORME – «Credo che il 3D sia molto interessante, rappresenta la nuova frontiera, ma bisogna usarlo con moderazione, senza eccedere troppo. Credo che il cinema di oggi sia molto cambiato, Netflix e Amazon stanno rovinando la bellezza delle sale, il fascino delle proiezioni. Un giorno credo il sistema delle piattaforme imploderà. Il giorno in cui riscopriremo quanto sia bello ritornare al cinema e stare insieme sarà una nuova era. Bisogna ritrovare la bellezza di andare al cinema, in sala insieme, ma penso che le piattaforme dovrebbero essere più educative…».
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