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Wes Anderson: «Kurosawa, Miyazaki e la mia lettera d’amore per il Giappone»

Realtà e paradosso, politica e poesia. Il regista decifra il suo cartoon: L’isola dei cani

Wes Anderson a Berlino, in posa per i fan.

BERLINO – Dopo aver aperto la Berlinale, il gioiellino d’animazione L’isola dei cani approderà in sala in Italia il prossimo 17 maggio, un bizzarro viaggio capace di riscoprire l’umanità persino negli angoli più remoti della Terra, girato in puro stile Wes Anderson. In Giappone, in un futuro non ben identificato, i cani vengono esiliati in una discarica a cielo aperto a causa di un virus che ha reso l’intera razza un pericolo. In un poetico e disperato tentativo di salvare il suo cane, un bambino, Atari, si lancerà però con il paracadute in quell’inferno di desolazione. Inizierà così un’avventura che il regista porta nel cuore da anni e che ha raccontato a Hot Corn durante la conferenza stampa berlinese.

Wes Anderson alla prima de L’isola dei cani alla Berlinale.

IL GIAPPONE «L’isola dei cani nasce dal mio amore profondo per il Giappone, anche se quella che ho portato sullo schermo è una versione fantastica del Paese, oltre ad un omaggio a maestri come Kurosawa e Miyazaki. Il racconto, comunque, ha una valenza universale e avrebbe potuto essere ambientato ovunque, in qualunque epoca, perché stavolta sono i cani a diventare lo specchio della nostra realtà. Anche politica…».
I CANI «Ho un debole per i cani e, non a caso, uno dei film che rivedo più volentieri è La carica dei 101. I nomi usati per i personaggi li ho presi in prestito: ad esempio si chiamava Chief sia il cane di mio fratello che quello di alcuni amici. Proprio da loro è nata l’idea di una favola moderna, anche se quando ho iniziato a pensarla, molti anni fa, non avevo chiara l’evoluzione del film. Sapevo solo che volevo parlarne. Il resto è arrivato».

Atari, il protagonista de L’isola dei cani, con gli amici quattro zampe.

LA TECNICA «Ho scelto la stop-motion perché è un’arte antica, affascinante, che ci ha permesso di volare alto con la fantasia anche se poi a volte dovevamo ridimensionare in scala alcuni modelli realizzati per evitare di sforare il budget. Personalmente ho una passione per i modelli e inserire questa passione nella storia del cinema mi ha sempre affascinato».
LE BARRIERE «Con L’isola dei cani ho fatto un’operazione insolita che gioca con la traduzione e il doppiaggio, non solo nel linguaggio canino ma anche in quello umano. La lingua giapponese però resta com’è e non viene mai tradotta. Il motivo? Volevo conservare quel sapore autentico, la realtà alla base del racconto. Non è stato facile, ma ne è valsa la pena».

Wes Anderson a colloquio con Dieter Kosslick, direttore della Berlinale.

IL CAST «Gli attori di cui mi circondo sono artisti con cui ho già lavorato e ho un rapporto d’amicizia. E qui non faccio eccezione, da Tilda Swinton a Bill Murray: nella lista ideale di chi avrei voluto coinvolgere c’erano già loro. I miei desideri sono stati esauditi anche perché nel caso di un cartoon nessuno può dire di essere occupato. Si può registrare la voce ovunque, anche a casa propria…».
LA METAFORA «Quando ho cominciato a lavorare a L’isola dei cani, molto tempo fa, sapevo che gli avrei dato delle connotazioni politiche. Paradossalmente però il mondo in questi anni è cambiato ad una tale velocità che ho dovuto attingere a situazioni reali per raccontare la storia e renderla ancora più attuale e urgente».

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