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Una figlia | Stefano Accorsi, quell’amore spezzato e il tocco di Ivano De Matteo

Colpa, perdono e difficoltà. Dopo Mia, il regista ritorna sul delicato equilibrio tra genitori e figli

Una Figlia
Stefano Accorsi e Ginevra Francesconi in una scena di Una Figlia.

ROMA – Può un genitore amare un figlio anche quando non lo riconosce più? Ivano De Matteo ci ha abituati a un cinema che scruta le crepe, i vuoti, le ombre dentro le relazioni familiari. E, dopo Mia,  continua a farlo, e a saperlo fare con Una figlia, in cui il regista torna a indagare il punto di rottura in cui lamore genitoriale si scontra con linimmaginabile. Stavolta lo fa con una partenza incerta, quasi trattenuta, che nei primi venti minuti sembra non trovare la direzione giusta. La sceneggiatura è a tratti forzata e la storia ha bisogno di qualche cambio di passo per decantare, per capire in un certo senso che direzione voler prendere. Poi, lentamente, quasi naturalmente, Una figlia trova il suo ritmo. Non si impone. Si assesta. Si svela. E quando lo fa, il film cambia pelle, rivelando tutta la sua complessità emotiva e dolorosa.

Stefano Accorsi in una delle scene chiave del film

Al centro del racconto, il rapporto spezzato tra Pietro (uno Stefano Accorsi misurato, pieno di silenzi e respiri trattenuti) e Sofia (Ginevra Francesconi, sempre brava e qui forse nel suo ruolo più complesso), figlia adolescente segnata da un dolore mai elaborato e da un gesto estremo che lha condotta in carcere. Un gesto che lascia ferite profonde e domande scomode: cosa accade quando chi ami di più fa qualcosa che non puoi perdonare? Si può ancora essere un padre? Si può ancora essere una figlia? De Matteo e Valentina Ferlan, coautrice della sceneggiatura, costruiscono una narrazione che non cerca giustificazioni, ma comprensione(?). Non giustizia, ma sincerità emotiva. Ed è lì, anche in quei non detti, negli spazi vuoti tra una scena e laltra, che il film prende forma. Non puntando al colpo di scena quanto alla cicatrice.

Il primo piano su Stefano Accorsi in una scena al parco

Dal centro di accoglienza al carcere minorile, dalla solitudine del rifiuto paterno al possibile (ma fragile) percorso di riavvicinamento, De Matteo vuole raccontare un cammino difficile, irto, che non offre soluzioni semplici. Un cammino dove la colpa si mescola allaffetto e il bisogno di perdono si scontra con la paura di concederlo. L’abilità di De Matteo è quella di saper raccontare un dolore composto, mai urlato, eppure costante. Ne esce un cinema di sottrazione, dove il non mostrato diventa eloquente e dove la violenza non viene spettacolarizzata, ma lasciata sullo sfondo. Non interessa (e non deve), perché qui non interessa il fatto in sé, ma le sue conseguenze.

Ginevra Francesconi e suo padre, nel film, Stefano Accorsi

La vera consapevolezza artistica di De Matteo è nella tecnica. Nella costruzione estetica della tecnica. Ancora una volta lutilizzo della pellicola come scelta non soltanto registica quanto fondamentale al suo percorso. In cui il ritorno all’essenziale prevede una precisione che, forse, la digitalizzazione, con la sua infinita abbondanza e ipercorrezione non chiede così fermamente. «La pellicola» – ha detto l’autore a Hot Corn – «anche qui è stata fondamentale con la sua capacità di percepire la luce esattamente nello stesso modo dellocchio umano e rendere ancora più vivi i volti dei miei personaggi».

  • VIDEO | Qui il nostro dialogo con Stefano Accorsi
  • VIDEO I Qui il trailer di Una Figlia:

 

 

 

 

 

 

 

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