CANNES – Chi è Karsh? Un importante uomo d’affari che, inconsolabile dopo la morte della moglie, inventa la GraveTech, ovvero una tecnologia rivoluzionaria che consente ai vivi di monitorare i loro defunti nei loro sudari. Una notte, diverse tombe, inclusa quella della moglie, vengono profanate. Da qui parte The Shrouds, il nuovo film di David Cronenberg in concorso a Cannes, a due anni da Crimes of the Future. Questa volta il protagonista è Vincent Cassel – non a caso molto somigliante allo stesso Cronenberg, che ha perso la moglie Carolyn Zeifman nel 2017 – a fianco di Diane Kruger, Guy Pearce, Elizabeth Saunders, Sandrine Holt e Jennifer Dale. Ecco come il regista ha raccontato la genesi del progetto.

IL TITOLO – «In inglese, la parola “shroud” (The Shrouds è il titolo originale del film) significa “sudario” ma anche in modo più generale “velo”, ovvero qualcosa che nasconde, maschera, avvolge. Se ci pensate, nella maggior parte dei riti funerari, ciò che conta è negare la realtà della morte, quindi nascondere i corpi. Ecco, in questo caso sono andato nella direzione opposta: i miei sudari digitali rivelano invece di nascondere. Ho scritto questo film mentre subivo le conseguenze della morte di mia moglie, scomparsa sette anni fa, nel 2017, un dramma che ovviamente mi ha toccato profondamente. Così, settimana dopo settimana, ciò che doveva essere un’esplorazione tecnica è diventata, poco a poco, un’esplorazione emotiva e personale…».

IL CINEMA – «In un certo senso, i sudari inventati dal mio eroe, Karsh, ovvero Vincent Cassel, sono processi cinematografici. Registrano un cinema dopo la morte, un cinema della corruzione del corpo. Non ho affrontato questo tema frontalmente, ma volevo comunque presentare gli aspetti di un cinema tombale, cinema dei cimiteri. In The Shrouds, Karsh è consapevole che i suoi processi danno vita a immagini, a volte ricche e complesse, sottoposte a tecniche simili a quelle del cinema. Ciò che è sorprendente è che mi capita spesso di guardare film per ritrovare i morti. Vederli e sentirli. Il cinema, a suo modo, è una macchina per far apparire fantasmi, esseri umani dopo la loro morte. A suo modo, il cinema è un cimitero».

LA MORTE – «Se siete credenti, credo che consideriate una vita dopo la morte, giusto? Se invece, come il personaggio di Karsh e me, siete atei, questa relazione può continuare, ma in un contesto più realistico, in un quadro più biologico. Diciamo che è un’altra forma di relazione. Karsh non sopporta di non sapere cosa accade al corpo di sua moglie e quindi la relazione continua, ma non attraverso uno scambio di parole, una conversazione. È certamente perverso, morboso, grottesco, ma per un uomo che piange sua moglie no, non lo è. È, in realtà, un atteggiamento positivo, un modo per uscire dal dolore e dalla disperazione. Karsh investe tutto su questo: molto denaro e molta energia per un cimitero high-tech. Ma alla base, tutto è fondato sul corpo, come in molti dei miei film. Il corpo è la realtà».

IL CAST – «Come ho scelto Diane Kruger e Vincent Cassel? Con molta cura e particolare attenzione. Ci tengo a dirlo perché trovo che nel mondo del cinema il casting sia spesso nascosto o trascurato, se ne parla molto poco, sbagliando. Io invece dedico molto tempo, da sempre, alla scelta degli attori giusti. Un casting può distruggere un film, oppure, al contrario, elevarlo davvero e renderlo unico e irripetibile. È la base vivente di una sceneggiatura; come regista, ti offre la genialità di cui un film ha bisogno. Per The Shrouds è stato un set davvero straordinario con attori che alla fine mi hanno regalato molto più di quello che ho messo nella sceneggiatura…».

LA TECNOLOGIA – «Dal mio secondo film, Rabid – Sete di sangue, era il 1977, ho inventato una tecnologia che oggi è diventata effettiva: quella delle cellule staminali. La tecnologia non è una cosa venuta da un altro mondo e che ci distruggerà, credo sia una parte di noi, è uno specchio di noi. Siamo angeli o demoni, e la tecnologia, allo stesso modo, può dare origine a cose belle o brutte. Per me, esaminare la condizione umana ha sempre significato esaminare la tecnologia. La gente ha paura del cambiamento, ma in questo momento, io riesco a vedere grazie a un dispositivo di lenti in plastica che mi sono state impiantate chirurgicamente, e ascolto tutto grazie a apparecchi acustici. La mia carriera di regista sarebbe quindi finita da tempo senza queste protesi sofisticate? Esatto. Per questo non ho paura, ma provo anzi ammirazione per la tecnologia. I miei film sono opere di fantascienza, ovviamente, ma anche uno studio della tecnologia come espressione della creatività umana…».
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- VIDEO | Qui per il trailer di The Shrouds:
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