ROMA – Tom Ripley, un truffatore che cerca di sopravvivere nella New York dei primi anni Sessanta, è assunto da un uomo benestante per recarsi in Italia e cercare di convincere il figlio girovago a tornare a casa. Accettando l’incarico, Tom entra in una complessa realtà fatta di inganni, truffe e omicidi. Parte da qui Ripley, miniserie in otto puntate scritta e diretta da Steven Zaillian e ispirata a Il talento di Mr. Ripley romanzo di Patricia Highsmith del 1955, con un trio di protagonisti d’eccezione: Johnny Flynn, Dakota Fanning e ovviamente lui, il volto di copertina, Andrew Scott. A lui il compito di prestare volto e corpo a quel Tom Ripley che negli anni al cinema è stato rivisto e riletto molte volte.

Da Alain Delon (in Delitto in pieno sole di René Clément) a Barry Pepper (Il ritorno di Mr. Ripley), passando per Dennis Hopper (ne L’amico americano di Wim Wenders), Matt Damon (Il talento di Mr. Ripley) e John Malkovich (in Il gioco di Ripley di Liliana Cavani, e che appare anche qui nella miniserie), quindi proprio Scott che ha definito l’agente scenico principe del racconto miniseriale come: «Non necessariamente solo, ma certamente solitario. Oscuro e complesso. È psicopatico? O sociopatico? Un serial killer? Nessuna di queste cose è di alcun interesse per me. Non credo Tom sia un assassino. Penso sia una persona che commette degli errori e quegli errori glieli vediamo commettere in tempo reale».

C’è (molto) più di questo però. Perché la nuova incarnazione del personaggio nato dalla penna della Highsmith va oltre la dimensione letteraria di truffatore e omicida epicureo e sofisticato, soave e gradevole, privo di morale e senso di colpa, per rinascere come uomo freddo e distaccato, senza nome, senza radici e senza passato, e dal presente in mutamento così come la sua identità. Incerta, enigmatica, plasmata di manipolazioni giocate in linee dialogiche secche e (ri)costruita caratterialmente di modulazioni vocali e di un linguaggio del corpo fatto di mimesi e riproduzione. O per meglio dire: appropriazione. Perché è della vita di Dickie Greenleaf che Tom Ripley si appropria, continuando a viverla per conto suo, e a modo suo.

Grande merito, in tal senso, alla prova attoriale di un Andrew Scott straordinario, allo stato dell’arte (e già in corsa per l’Emmy Awards 2025), che nella dimensione caratteriale di Tom Ripley ci entra in punta di piedi per restarci, navigandoci dentro, giocando di piccolezze e stoccate fino a rendere volto, corpo e voce, come argilla da modellare e manipolare all’occorrenza. Il resto lo fa la direzione di uno Steven Zaillian sempre più ispirato nella miniserialità (ricordate The Night Of con John Turturro e Riz Ahmed?) che vi costruisce intorno un Ripley tutto inciso di immagini di algida bellezza nel suo purissimo bianco-e-nero, ricche di particolari, che vanno a comporre un racconto dal respiro letterario. Una (mini)serie da non perdere.
- INTERVISTE | Andrew Scott racconta la miniserie
- HOT CORN TV | Qui per il trailer di Ripley:
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