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Pinocchio | Roberto Benigni, la luce di Garrone e un film estetico e popolare

Il regista (ri)elabora per immagini la favola di Carlo Collodi, costruendo un’opera per tutti

Pinocchio: Roberto Benigni e Federico Ielapi
Pinocchio: Roberto Benigni e Federico Ielapi

ROMA – Le impeccabili immagini, il senso del magnifico, la potenza di una favola centenaria, universale e trasversale. Matteo Garrone e il suo Pinocchio, la riscoperta del testo di Carlo Collodi e un viaggio cinematografico attraverso il mito di quel burattino, con i suoi insegnamenti e i suoi personaggi, diventati sinonimi culturali e sociali di un mondo spaccato a metà: innocenza e cattiveria, ricchi e poveri, disperati e sognatori. Pinocchio, con quella carrellata di figure entrate nel lessico comune, allegorie tipicamente italiane eppure globali, senza epoca né tempo.

Roberto Benigni è Geppetto
Roberto Benigni è Geppetto

La Fata Turchina (Marine Vatch e Alida Baldari Calabria), Mangiafuoco (Gigi Proietti), Il Gatto e la Volpe (Rocco Papaleo e Massimo Ceccherini), l’Omino di Burro (Nino Scardina). Addirittura il Tonno (Maurizio Lombardi), che “quando si nasce tonni, c’è più dignità a morir sott’acqua che sott’olio”. E cos’è Pinocchio se non un’ideale puro, che si fa strada lungo un cammino lastricato di prove, di sfide, di pericoli. Così, Garrone, che ha scritto il film insieme a Massimo Ceccherini, pur saltando alcuni passaggi originali (non ci sono Alidoro e Melampo, non c’è Il Paese delle Api Industriose), resta abbastanza fedele al romanzo originale, costruendo (è il caso di dire) un film artigianale, nel senso più nobile del termine.

Federico Ielapi e Matteo Garrone sul set di Pinocchio
Federico Ielapi e Matteo Garrone sul set di Pinocchio

Come quel Geppetto (interpretato con toccante umiltà da Roberto Benigni) padre per eccellenza, dolente e buffo, con un forte richiamo ai classici maestri della povertà cinematografica, Charlie Chaplin e Buster Keaton. Un immaginario che fonde il reale al sovrannaturale, la miseria e la gioia, con le ispirazioni arrivate a Garrone direttamente dai disegni di Enrico Mazzanti e dai dipinti dei macchiaioli: la luce di Serafino Da Tivoli, i paesaggi toscani di Giovanni Fattori, i volti sporchi e popolari di Niccolò Cannici. Tutto, elevato da una regia estetica e dalla splendente fotografia di Nicolaj Bruel (che aveva già collaborato con Garrone in Dogman), che non manca mai di illuminare il cammino di Pinocchio. Che sia nel Campo dei Miracoli o nel ventre di un Pesce Cane.

Una scena di Pinocchio
Pinocchio, il Gatto e la Volpe

Perché, alla fine, al centro del racconto (dei racconti, verrebbe da dire…), c’è la catarsi di un burattino che si fa bambino e poi uomo. Quel Pinocchio ribelle e disincantato, che per Garrone ha il volto dolce e impunito di Federico Ielapi, al suo esordio sul grande schermo. E alla fine, come nel libro di Collodi, nel celebre adattamento tv di Luigi Comencini e, in parte, in A.I. – Intelligenza Artificiale di Steven Spielberg, Pinocchio è anche una grande storia tra un padre e un figlio, che rimarca l’importanza dell’amore, altra chiave centrale per Matteo Garrone e di una favola inesauribile, dove i bambini diventano grandi e i grandi diventano bambini.

Qui la nostra intervista a Matteo Garrone, Roberto Benigni e Federico Ielapi:

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