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Perdutamente e il (commovente) viaggio di Paolo Ruffini tra amore e Alzheimer

Non un documentario sulla malattia, ma storie di affetti indelebili. Nonostante tutto

Paolo Ruffini e il suo Perdutamente

ROMA – Tre elementi, su cui gira il senso del film e, a guardare bene, anche il senso della vita: le parole, il tempo, l’amore. Elementi essenziali, cruciali, fatidici. In mezzo, troviamo la memoria, come testimonianza di identità e di storia. Una memoria che, però, schiacciata da una sindrome terribile, finisce per sbiadire, svanendo sotto il peso gravoso di un buco nero che risucchia tutto e tutti. Lo chiamano morbo di Alzheimer, nome che proviene dal 1901, quando il dottor tedesco Alois Alzheimer documentò il primo caso di malattia, riscontrata nella signora Auguste Deter. Di certo, l’emozionante e profondo Perdutamente di Paolo Ruffini e Ivana Di Biase, non cerca di essere cronaca medica della malattia, bensì vuole abbracciare (e ci riesce) diverse storie di pazienti e dei propri cari.

Pina, una delle protagoniste di Perdutamente
Pina, una delle protagoniste di Perdutamente

Perdutamente, nella sua ora abbondante, attraversa l’Italia da nord a sud, con Paolo Ruffini che si fa testimone diretto di vicende personali che – come si dice a Roma – finiscono per metterti le mani addosso. Così, vendendo il documentario, il cuore batte forte e lo stomaco si contorce di dolore e compassione, finendo per bagnare gli occhi. Eppure, Ruffini, che ci mette l’anima (e si vede) non insegue la commozione facile, non vuole certamente trasmettere pietà né compatimento. Tutt’altro, anche sotto una malattia incurabile, che prosciuga il tempo e divora la mente, potrebbero esserci sfumature folgoranti e momenti di vita. Momenti tenuti per mano da un figlio, un nipote, una moglie o un marito. Perché, prosegue Ruffini, l’Alzheimer quando colpisce, colpisce l’intera famiglia.

Perdutamente
Paolo Ruffini insieme a Ludovico e Monica

Ed è qui che Perdutamente, tra l’asfalto, i tinelli e le note di Brunori Sas e Vasco Rossi, diventa un’epopea umana che con luminosa semplicità spiega com’è affrontare una malattia tanto drammatica, combattuta a colpi di d’affetto e di sentimenti. E allora, Paolo Ruffini, da sempre sensibile alle tematiche sociali (recuperate Up&Down – Un film normale), nonché profondo conoscitore del cinema, come noi fa fatica ad affrontare gli occhi dei pazienti, sensibile e permeabile a quelle esperienze impossibili da dimenticare. Resta tutto addosso, resta appiccicato anche alla fine della visione. Quello che vediamo è vero, esiste ed è più vicino di quanto pensiamo. Ma, dietro il male sordo e accecante, rimettendo in fila le parole che danno le rime al documentario, i malati d’Alzheimer potrebbero essere come quei viaggiatori del tempo, che hanno perduto tutto tranne la cosa più importante: l’amore. Quello no, nessun morbo può annientarlo.

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Qui la nostra intervista a Paolo Ruffini:

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