MILANO – Ma quanto è difficile parlare di Monica Vitti? L’eredità che ha lasciato è ancora così viva e pulsante che è (ancora) strano parlarne al passato. Con i suoi personaggi, si è districata in una gamma espressiva che andava dalla pura commedia con Alberto Sordi fino all’alienazione di Michelangelo Antonioni. Forse non lo sapeva – non poteva saperlo – ma già allora i suoi personaggi dialogavano con il futuro (che sarebbe il nostro presente), a riprova di quanto fossero moderni i ruoli che andava a interpretare. Così, alla fine, dopo l’uscita al cinema e le molte parole tra feste e anteprime, la sensazione è che a fare un giusto bilancio dell’eredità sia stata proprio Roberta Torre con Mi fanno male i capelli, riprendendo il dialogo tra passato e futuro in maniera cauta e gentile, ma soprattutto riaprendo un commovente discorso sulla memoria in un tributo coraggioso come pochi. Perché? Perché parla anche di noi, gli spettatori.

Nel film – se non lo avete visto, cercatelo in sala – la Rohrwacher interpreta (non a caso) Monica, una donna che soffre di una forma di alterazione della mente, la sindrome di Korsakoff, che non le permette più di riconoscersi e la porta a deficit, confusione e cambiamenti comportamentali. Suo marito Edoardo (Filippo Timi) l’ha allontanata da Roma per poterle restare accanto nella loro casa al mare: una casa che potrebbe poi finire in vendita per saldare il debito di una causa legale andata a finire male (e forse per i costi della malattia). Ma Monica trova un suo modo di ritrovarsi attraverso una celebre omonima: Monica Vitti. In lei la donna si rispecchia, nei suoi frammenti di cinema di cui ripete a memoria le battute facendole sue, eliminando ogni soluzione di continuità fra la vita dell’attrice sullo schermo e la sua vita nella quotidianità. La vita come il cinema? Oppure è il cinema ad essere come la vita? Il quesito rimbalza subito addosso allo spettatore che deve rispondere partendo dalla sua esperienza.

Immedesimazione e confronto. Alba Rohrwacher interpreta e reintepreta Monica Vitti, i volti, le battute e i gesti (come toccandosi i capelli sinuosi, a volte biondi a volte scuri della Vitti, nel richiamare la celebre battuta dal film Deserto rosso che regala il titolo alla pellicola) di una donna che però in realtà – nella vita – si chiamava Maria Luisa Ceciarelli. E allora il livello filmico, tra storie di risoluzioni e traumi, si mescola tra falso e verosimile, ricordi e visioni. L’intento della Torre è chiaro: utilizzare i dialoghi per costruire un omaggio a Monica Vitti, sì, ma anche utilizzare l’espediente per riflettere sulla memoria e sull’uso del cinema come deposito in cui conservare la memoria. L’intenzione oscilla tra l’omaggio e il tributo ma non perde mai la calma necessaria a toccarne la modernità e dentro questa dissonanza ci siamo anche noi, giovani, vecchi, con milioni di film visti o solo poche decine. Dove sta la nostra memoria? Chi la custodisce?

In realtà il termine dissonanza è sbagliato per parlare del film e di questi personaggi: non c’è nulla di discordante in Mi fanno male i capelli. Dal giocare con le sovrapposizioni sperimentando con un’artisticità che regala una speranza infinita (non solo a livello tecnico, ma anche per la figura di Monica-Alba nel film), fino alle musiche di Shigeru Umebayashi (la colonna sonora di In The Mood For Love ve la ricordate? E 2046?), il film è tutt’altro che disarmonico, è coeso, forte, accorato, fino a colpire lo spettatore con un necessario velo di malinconia che poi conduce ad una riflessione formidabile su quello che ricordiamo e su quello che siamo, su quanto il cinema faccia parte della nostra identità e sia anche il custode di momenti lontani, indimenticabili e eterni. Perché – a differenza della vita – basta un semplice gesto per ripeterli, e ripeterli, e ripeterli ancora…
- LEGENDS | L’infinita modernità di Maria Luisa Ceciarelli…
- VIDEO | Torre, Timi e Rohrwacher raccontano il film:
Lascia un Commento