in

Matteo Tortone: «Mother Lode, il realismo magico e la nuova corsa all’oro»

Tra La Rinconada e il rapporto uomo/denaro: il regista racconta il documentario passato alla SIC 36

mother lode
Una scena di Mother Lode di Matteo Tortone

VENEZIA – Jorge lascia la sua famiglia e il suo lavoro di mototaxi nei sobborghi di Lima per cercare fortuna nella miniera più elevata e più pericolosa delle Ande Peruviane, La Rinconada. Da qui, Jorge inizia un viaggio fatto di premonizioni, dove la realtà e l’immaginazione si legano indissolubilmente e dove il mito della ricchezza viene costruito sul sacrificio. La nostra intervista a Matteo Tortone, dop che dopo aver lavorato come autore, produttore e direttore della fotografia ha presentato in Concorso alla SIC 36, Mother Lode, documentario vincitore dell’Eurimages Lab Award ora in sala

Cosa ti ha spinto a raccontare questa storia?

Il rapporto uomo-valore è sempre stato un mio interesse. Nel 2010 ho avuto la possibilità di filmare in una miniera d’oro informale tanzaniana. Era un periodo in cui gli effetti della crisi bancaria del 2008 si stavano riflettendo con veemenza in Europa e in Italia. Così ho pensato che un racconto sull’oro potesse dare un punto di vista differente sulla crisi in corso e, in termini più ampi, potesse offrirmi nuove coordinate per capire quel fenomeno. A quell’epoca, infatti, mentre l’economia reale crollava, il prezzo dell’oro stava raggiungendo uno dei suoi massimi storici. Contemporaneamente masse di persone si stavano riversando nei villaggi minerari di tutto il mondo, dando vita ad una nuova e furiosa corsa all’oro. Questo mi spinse ad interessarmi al mercato dell’oro, osservando come questo stava via via influendo sulle politiche dei governi a livello globale. Sempre in quella miniera d’oro percepii una dimensione metafisica che aleggiava tra i tunnel delle miniere e le capanne del villaggio. Capii di voler indagare il rapporto tra l’oro e il sacro, tra metafisica e capitale. Sentii il bisogno di cercare una storia limite che potesse diventare una metafora del rapporto inevitabilmente violento tra uomo e denaro. Un rapporto violento fondato su un sistema valoriale costantemente rinnovato attraverso il rituale e quindi affine alla sfera religiosa.

Mother Lode
Una scena di Mother Lode

Come hai scoperto La Rinconada?

Ho cercato un luogo che potesse esprimere esteticamente la tensione alla conquista dello spazio, in questo sforzo collettivo di produzione di ricchezza, quasi senza limiti. Incappai per caso in alcune fotografie de La Rinconada. Un agglomerato urbano informe abitato da decine di migliaia di persone, abbarbicato a 5300 metri sul livello del mare, aggrappato ad un ghiacciaio che sembra sul punto di collassare sulla valle sottostante. Ho deciso quindi di concentrarmi su questo luogo limite, su questo confine. Ma di renderlo un punto di arrivo di un viaggio, di un’ascesa. Un luogo, seppur remoto, collegato al resto del mondo, inserito appieno nelle dinamiche del mercato globale.

Perché hai scelto di filmare in bianco e nero?

Nonostante sia figlio degli anni ottanta le mie prime esperienze cinematografiche sono state in bianco e nero su un piccolo telefunken che mi accompagnò fino ai dieci anni. All’epoca mi sforzavo non solo di seguire la storia di un film, ma anche di definire i colori che non potevo vedere sulla scala di grigi ma che io mi ostinavo a dichiarare ai miei genitori. Durante la concezione di Mother Lode mi ritornò in mente questa mia esperienza infantile. Mi resi conto di una cosa ovvia: l’oro in bianco e nero non è identificabile. Di fronte all’immagine di una pepita o un lingotto d’oro in bianco e nero è il lavoro cerebrale dello spettatore a doverne definire il colore e quindi indirettamente il valore. Mi piacque l’idea, anche perché rappresentava una scelta diametralmente opposta a quella effettuata da Erich Von Stroheim in uno dei film di riferimento per qualsiasi esperienza cinematografica sull’oro: Greed. Lui, essendo costretto a girare in bianco e nero, fece colorare a mano tutti gli elementi aurei del film. Per lo spettatore che non proietta un colore su quella pepita in bianco e nero, il lavoro estenuante dei minatori diventa inutile. Una faticosissima ripetizione di uno sforzo sempre identico e inutile: una versione aggiornata del mito di Sisifo. Ma con l’idea di poterlo rendere utile da un momento all’altro: con la speranza di avere un colpo di fortuna, trovare la vena madre e diventare ricchi all’istante. Mi è sembrata una condizione, seppur declinata in altri termini, condivisa dalla maggior parte degli esseri umani.

Un’immagine di Mother Lode di Matteo Tortone

Come hai lavorato con Patrick Tresch che ha realizzato una fotografia meravigliosa?

L’incontro con Patrick Tresch è stato speciale sia sul piano artistico che su quello umano. Ha amato e compreso al volo il film che avevo in testa. Nelle location in cui abbiamo avuto libertà di movimento abbiamo preparato insieme punti macchina e découpage nel dettaglio. Altre volte ciò non è stato possibile e mi sono affidato alla sua sensibilità

Avete trovato difficoltà a girare all’interno della miniera?

Per girare all’interno de La Rinconada siamo stati costretti a farci scortare da sei uomini armati di kalashnikov. Perché oltre ai pericoli che si possono dare per scontati, in quei tunnel non è raro imbattersi in persone armate che rubano tutto il minerale che possono. Patrick è riuscito a mantenere un rigore e un’unità estetica anche in quella situazione. Avendo firmato la fotografia in altri lavori credo molto nella libertà espressiva del direttore della fotografia. In questo caso ancora di più. Il progetto richiedeva di andare al di là della professionalità, richiedeva un’adesione totale. Una volontà di relazionarsi con le persone e i luoghi che attraversavamo e di farlo in condizioni difficili. Sotto questo aspetto Patrick è stato determinate. Come lo sono stati tutti i componenti della troupe. Considerando che ci siamo incontrati tutti e sei per la prima volta a Lima e che 15 giorni dopo dormivamo insieme stesi sul pavimento di una baracca di lamiera a La Rinconada, trovo alquanto straordinaria l’alchimia che si è creata e l’unione di intenti intorno alla visione che avevo proposto.

Mother Lode
José Luis Nazario Campos, protagonista di Mother Lode

Come hai conosciuto José?

Per raccontare l’incontro con José Luis Nazario Campos devo introdurre una persona che è stata davvero fondamentale per il film: Andrea Balice, che ha svolto contemporaneamente il ruolo di fixer e di aiuto regia. Alla luce della natura stagionale e migrante del lavoro di minatore, decisi che la storia del film sarebbe dovuta partire da Lima. Andrea aveva lavorato in passato con diverse Ong nelle periferie di Lima e aveva conosciuto il poeta Feliciano Mejía. Un uomo che ha consacrato la propria vita alla democratizzazione dell’arte e della letteratura attraverso la creazione di diverse biblioteche in villaggi poco accessibili, spendendosi in attività laboratoriali di scrittura creativa nelle periferie di Lima per sopperire all’enorme dispersione scolastica. Un mix tra un poeta e un educatore di strada votato al teatro di comunità. Nel 2016, quando ho realizzato i sopralluoghi, con Andrea ci siamo rivolti a lui per effettuare un casting. José è stato il primo e ultimo ragazzo che abbiamo conosciuto.

Come hai capito che sarebbe stato lui il protagonista di Mother Lode?

Mi ha colpito subito la sua capacità di ragionare in termini astratti anche di sé stesso. Inoltre aveva iniziato a lavorare in miniera a 13 anni e all’epoca aveva tenuto una sorta di diario. José ci ha fatto entrare sia nelle dinamiche fisiche e pratiche della vita in miniera che nel pensiero magico ad esse legato, ci ha introdotto nella sua famiglia e quotidianità. Ci ha dato la possibilità di mettere alla prova la prima bozza di trattamento, frutto di disparate letture ma privo di confronto con la realtà.

Un’immagine di Mother Lode di Matteo Tortone

Come si è evoluta la collaborazione?

Gli abbiamo proposto di iniziare a provare ad usare una camera durante i nostri incontri. Poi ci siamo trasfeti direttamente a casa della sua famiglia dove abbiamo conosciuto altre persone solite dividere la propria vita tra Lima e una delle tante miniere d’oro peruviane. Lo abbiamo portato con noi durante il sopralluogo a La Rinconada che si è trasformato in una prova generale del film. Nel frattempo improvvisammo delle riprese con José, delle interviste. Mi accorsi della sua potenza visiva e delle sue capacità nello stare di fronte alla camera con naturalezza, come se la non ci fosse. Abbiamo deciso insieme il nome del suo personaggio e abbiamo discusso sulla parabola del film. Ma la decisione l’ho presa nel vedere che non soltanto José si trovava a proprio agio di fronte alla camera ma riusciva a mettere a loro agio anche le persone che coinvolgevamo, dando un senso di naturalezza estrema alle immagini che stavo girando.

Mito e realtà sono alla base del racconto. Nello scrivere la sceneggiatura insieme a Mathieu Granier qual era il vostro obiettivo primario?

Sono tornato dai sopralluoghi con una miriade di informazioni e conoscenze in cui sentivo un grande potenziale narrativo. La prima esigenza è stata quella di mettere ordine in questo materiale. Il motore della scrittura è emerso da questo materiale sotto forma di domanda: come fare a raccontare qualcosa di intangibile, indimostrabile, irreale ma profondamente vero? Ovvero, come rappresentare una verità psichica collettiva? Perché possiamo non credere al pensiero magico, ma questo esiste e ha delle conseguenze materiali, pratiche e reali. Quindi non sarà reale ma è certamente vero. Capimmo che dovevamo lavorare sui testi di José, perché quelli ci consentivano contemporaneamente di raccontare la scoperta del pensiero magico da parte di un tredicenne e di mettere lo spettatore nella sua stessa condizione di disvelamento progressivo, di continua risignificazione del reale, di costante rilettura del passato e previsione del futuro. Il nostro obiettivo primario è stato quello di porre lo spettatore nei panni di un tredicenne che scopre per la prima volta che l’oro appartiene al diavolo, chiedendosi inizialmente se quello che sta vedendo è vero o è mito, per poi portarlo lentamente a una condizione in cui quella domanda risulta superflua.

Mother Lode
Un’immagine di Mother Lode

Mother Lode racconta di un mondo votato al profitto e disposto a sacrificare tutto per il denaro. Che tipo di reazioni speri di suscitare in chi vedrà il film?

Spero di accompagnare lo spettatore in questo viaggio fisico e spirituale offrendogli l’opportunità di mettere in discussione i compartimenti stagni tra mito e realtà, percependo la prossimità tra la propria storia e quella di Jorge e la dimensione metafisica e violenta del denaro.

  • VENEZIA 78: la sezione dedicata
  • NEWSLETTER | Iscrivetevi qui alla newsletter di Hot Corn!

Lascia un Commento

notte stellata

Notte stellata – Night Sky | J.K. Simmons, Sissy Spacek e una serie sci-fi diversa dal solito

Parigi, 13 Arr.

Parigi, 13Arr. | Arriva in streaming il film di Jacques Audiard con Noémie Merlant