ROMA – L’ispettore Fisher (Michael Elphick), un poliziotto in pensione, indaga su un serial killer che uccide solo venditrici di biglietti della lotteria e per farlo segue il metodo d’indagine teorizzato in L’elemento del crimine, manuale di criminologia firmato del suo amico e mentore, il professor Osborne (Esmond Knight). Il metodo prevede l’identificazione del poliziotto con il criminale per svelare il mistero della sua condotta. In questo modo, Fisher finisce davvero sulle tracce del fantomatico Harry Grey, ma avrà difficoltà a mantenere la sua personalità distaccata da quella del potenziale omicida. Con lui la giovane Kim (Me Me Lai). Questo L’elemento del crimine, opera prima di Lars von Trier, di nuovo al cinema con Movies Inspired.
Presentato in concorso a Cannes 37 dove fu insignito del Grand Prix tecnico, L’elemento del crimine è il primo atto della cosiddetta Trilogia Europa. Una trilogia tematica, non narrativa – proseguita poi con Epidemic ed Europa – con cui illuminare alcuni periodi traumatici, passati e futuri, immaginati, dell’Europa. Il tema portante della trilogia è la decadenza sociale dell’Europa del secondo Dopoguerra. Al centro di ognuno dei racconti un agente scenico idealista e l’ipnosi come strumento narrativo: «In L’elemento del crimine il motivo dell’ipnosi è un puro postulato, un’illusione, una finzione (make-believe). In Epidemic, l’ipnosi si esprime realmente, in modo documentaristico e organico. E infine, in Europa, l’idea era di ipnotizzare lo spettatore».
Un semplice pretesto, quindi, con cui riavvolgere il nastro e dare forma ad un L’elemento del crimine dal ritmo graduato e dallo sviluppo non-lineare e caotico, che vede Von Trier immergere lo spettatore nei meandri bui, umidi e oscuri di un’Europa in preda al caos, abbandonata in mezzo a collezioni disordinate di rifiuti e rapporti e di uomini corrosi dal potere. Su di essi Von Trier incide immagini monocromatiche in luce al sodio e tono seppia dai picchi di emissione ristretti e dalla regia fluida e sinuosa, da cui far trapelare momenti di bellezza decadente e poesia perduta su cui riflettere sulla natura dell’individuo, l’influenza del contesto di riferimento e sulla devianza come infezione biologica e non (solo) ontologica.
Il tutto al servizio di una narrazione che è rilettura disorganica del genere noir resa nelle forme di un L’elemento del crimine come (im)perfetto e spigoloso punto di incontro tra la destrutturazione del genere onirico-lynchiana, le tenebre esistenziali di Blade Runner e gli angusti mondi di Andrej Tarkovskij (Stalker su tutti). L’autore russo, in particolare, è un dichiarato punto di riferimento di Von Trier: «Sono stato molto ispirato da Tarkovskij. Non ci farò mistero. Una volta ho visto un estratto di Lo Specchio alla televisione svedese, solo un’inquadratura in movimento intorno a quella casa, ed è stata una di quelle esperienze da sarò dannato».
Ironia della sorte, sembrerebbe che Tarkovskij – sapute delle parole di stima di Von Trier – abbia voluto vedere L’elemento del crimine, finendo con l’odiarlo visceralmente. Un’opera respingente, dai dialoghi spesso incoerenti, ma che avvolge e compenetra l’occhio dello spettatore emozionandolo a più riprese. Un’opera prima magistrale, difficile, di carattere e grande attrattiva, da (ri)scoprire a ogni costo.
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- VIDEO | Qui per il trailer originale di L’elemento del crimine:
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