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Da Taxi Driver all’Oscar | Jodie Foster, la donna che visse due volte

Da bambina prodigio a regista, da Taxi Driver a Ostia e gli Oscar. Aspettando True Detective 4…

MILANO – Doveva essere un rassicurante volto della Disney, invece le cose andarono in maniera molto differente e l’adolescenza di Jodie Foster non seguì esattamente queste premesse, anzi: dopo Due ragazzi e un leone, era il 1972, e prima di Una ragazza, un maggiordomo e una lady (con David Niven) venne scelta da Martin Scorsese prima per girare Alice non abita più qui, poi per Taxi Driver nel ruolo della baby prostituta, scatenando gli scetticismi della multinazionale di Burbank. E nel 1977 eccola invece incredibilmente in Italia – in un viaggio decisamente surreale – a girare Casotto di Sergio Citti a fianco di Ugo Tognazzi, Gigi Proietti e Michele Placido. Eppure l’episodio che ne segnerà maggiormente la crescita artistica, portandola a un passo dall’abbandono del cinema, sarà un altro: un incredibile caso di stalking.

Con Garth Avery e Robert De Niro sul set di Taxi Driver, 1976.

Il cantautore fallito John Hinckley Jr. – pazzamente innamorato di lei dopo averla vista proprio nel capolavoro di Scorsese con Robert De Niro – progetta infatti prima di dirottare un aereo per suscitare la sua attenzione (ma fortunatamente non porterà a termine il piano) poi, ispirato dal personaggio di Travis Bickle, il 30 marzo del 1981 spara all’allora Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, ferendo lui e altre tre persone, convinto di aver compiuto «La più grande offerta d’amore nella storia del mondo».

«Che ci faccio qui?». Con Michele Placido a Ostia in Casotto, 1977.

Per Jodie è uno shock che la tiene lontana per qualche anno dai set, arrivando però a ottenere una laurea magna cum laude in letteratura all’Università di Yale. Da quel momento in poi, non è più così necessario ricordare la vita extra-attoriale di Jodie Foster, perché la ex bimba prodigio si afferma come la migliore interprete di fine millennio, impersonando tre dei ruoli femminili più belli e intensi della storia del cinema. A partire da quello di Sarah Tobias di Sotto accusa, che le consente di vincere nel 1989 il suo primo Oscar: un film che oggi dovrebbe essere visto e rivisto, nell’epoca in cui si urla per definire il concetto di molestia sessuale.

Con il regista Jonathan Kaplan e Kelly McGillis in Sotto accusa, 1989.

La Foster è una cameriera vittima di uno stupro di gruppo, che riuscirà a far incarcerare non soltanto gli stupratori ma anche gli istigatori: una prova fisica, dolorosa e appassionata, tra fragilità e determinazione. Dopo l’ottimo noir Ore contate di Dennis Hopper, eccoci alla leggendaria Clarice Sterling de Il silenzio degli innocenti: secondo Oscar per un ritratto di donna complesso e stratificato, coraggioso, che non cela neppure un pizzico di ambiguità e fascino nei confronti del Male incarnato dall’Hannibal Lecter di Anthony Hopkins.

Con Jonathan Demme sul set de Il silenzio degli innocenti, 1991.

Seguono una serie di opere ambiziose e poco riuscite (Sommersby, Maverick, Nell), ma nel 1997 è diretta da Robert Zemeckis in quell’imperfetto, a tratti immenso, trattato di scienza e religione che era Contact: qui è Ellie Arroway, ossessionata sin da piccola dall’esistenza nell’universo di altre forme di vita  (“If it’s just us, it seems like an awful waste of space”), e forse sono lacrime versate come mai era successo prima d’ora.

Con Robert Zemeckis e Matthew McConaughey in una pausa sul set di Contact, 1997.

La carriera di Jodie Foster proseguirà su binari professionali e un po’ prevedibili, più curiosa invece è la strada scelta da regista: come nel sincero Mr. Beaver, che offre all’amico Mel Gibson uno dei suoi personaggi più umani, faticosamente in uscita dalla depressione; oppure come in Money Monster, una divertente critica alla spettacolarizzazione dell’infotainment televisivo. Icona gay, fiera elettrice democratica, ora Jodie è amata e rispettata da tutta Hollywood: il giusto riconoscimento di una vita a dir poco emozionante e vissuta due volte.

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