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Il portaborse | Daniele Luchetti, Nanni Moretti e quel film profetico

Silvio Orlando è il protagonista di una fotografia politica dei primi anni Novanta. Su Apple TV+ e Youtube

MILANO – Prodotto da Nanni Moretti e Angelo Barbagallo (per Sacher Film) e diretto dall’allievo di Moretti Daniele Luchetti, Il portaborse è ricordato da molti come un film su Mani Pulite e Tangentopoli, ma nel farlo ci si dimentica che il film uscì nella prima metà del 1991, qualche mese prima che Mario Chiesa venne colto con le mani della marmellata dalla squadra di Di Pietro, e ben un anno prima che le indagini e gli arresti si espansero a macchia d’olio in tutto il Paese. Eppure non si tratta di un film anticipatore come Habemus Papam o Palombella rossa, ma della testimonianza di un clima, attestazione del fatto che una parte di Italia aveva già preso atto di una tendenza ormai chiara della politica italiana nella direzione della spregiudicatezza e dello scollamento tra il Paese reale e una politica attorta nelle sue dinamiche storiche di immobilismo e clientelismo.

il portaborse
Daniele Luchetti, Silvio Orlando e Nanni Moretti sul set de Il Portaborse

Protagonista è Luciano Sandulli – Silvio Orlando, che accettò la parte dopo il rifiuto di Gian Maria Volonté – un professore campano di lettere (anticipazione del personaggio de La scuola, sempre diretto da Luchetti) che arrotonda facendo il ghost writer per uno scrittore depresso (Renato Carpentieri). Un bel giorno viene contattato da Cesare Botero (Nanni Moretti), il più giovane Ministro delle partecipazioni statali della storia della Repubblica, per aiutare il suo staff con i testi di comunicati stampa, interventi televisivi e dichiarazioni ufficiali. E così il professore, simbolo di purezza intellettuale ed etica, uomo che prova ad istruire un popolo di cui però fa parte, entra dalla porta di servizio nel mondo diavolesco del potere politico: all’inizio si lascia affascinare, un po’ credendoci e un po’ facendosi traviare; poi comprende il congegno della menzogna, del nascondimento, della violenza insita nella politica muscolare, e allora rinnega tutto e salva almeno la sua anima (non avendo la possibilità di riuscire a salvare tutti).

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Silvio Orlando è Luciano Sandulli

Il personaggio chiave è però l’antagonista, il Ministro interpretato da Moretti. Non ci sono espliciti riferimenti politici, ma Luchetti sa che non siamo degli sprovveduti, quindi dobbiamo constatare quanto la sua critica sia rivolta in particolar modo al PSI, alla ex nuova avanguardia del partito che ormai non è più la novità dei primi Anni ’80, ma una spregiudicata forza di sistema che per dieci anni si è inserita nei pertugi dei favoritismi, consolidando prassi che hanno contribuito a trasformare la nobile arte politica e del governo in una guerra fra bande, rivali sulla carta, ma unite dai conteggi per la spartizione del potere (il vecchio “manuale Cencelli”) e dai metodi di fidelizzazione elettorale. Probabilmente si pensò a Claudio Martelli nelle coordinate estetiche e anagrafiche del personaggio (seppur Moretti assomigli più a Goria), ma sicuramente anche a Bettino Craxi fu d’ispirazione per certi suoi atteggiamenti, oltre ai tanti altri protagonisti di quella intricata stagione politica.

Nanni Moretti è il Ministro Cesare Botero

La bravura di Luchetti è nel farci entrare in quel mondo – attraverso gli occhi dell’ingenuo Luciano – in maniera graduale, con delicatezza. All’inizio, è vero, siamo infastiditi dallo stile di Botero: uomo irritabile, è un capo intransigente e decisionista, un affabulatore abile principalmente nel giocare con le parole; ma all’inizio quasi ci convince nella sua azione politica, perché le sue tesi le vende come pensieri audaci, di buon senso, un po’ sprezzanti nei confronti del giornalista d’assalto Sanna (Giulio Brogi), ma in fondo finalizzate al bene del Paese, al rinnovamento di un sistema immobile. E’ solo nella seconda parte del film che capiamo (insieme al professore) quanto possa essere vuota la retorica di certi uomini e quanto a fondo possano spingersi nella scorrettezza. Anche umana, se necessario, anche rivolta contro chi si considerava (erroneamente) un amico.

Una scena del film

Ma qualcosa si muove. Forse per merito di qualcuno, o forse per l’inevitabile vecchia questione dei nodi che vengono prima o poi al pettine, fatto sta che Botero sembra accerchiato, smascherato, e il castello su cui si regge il suo potere pare poter crollare. Ma è un’illusione, perché questa volta la spunta il malvagio di turno. Il film si conclude nel pessimismo, nella presa d’atto che le cose non possono cambiare e forse non potranno mai farlo, che ogni tentativo di reagire a quel tipo di status quo non può che ridursi ad un gesto simbolico, ma insufficiente per risolvere problemi endemici, che hanno le loro radici, forse, dentro ognuno di noi.

Il Portaborse
Una scena de Il Portaborse

Nella realtà, le elezioni del 1992 andarono in maniera diversa rispetto al film: perse parecchio la DC, mentre i consensi del PSI restarono sostanzialmente invariati; ad incassare il consenso della battaglia antipolitica fu invece la Lega Nord, mentre il dinosauro della Prima Repubblica implodeva sotto i colpi degli avvisi di garanzia e dei magistrati. A noi, oggi, l’onere di valutare nel merito le dinamiche di quel momento storico e le sue conseguenze profonde.

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