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TOP CORN | Il Legionario? Un grande film alla ricerca dell’identità perduta

Legami di sangue, etica, integrazione e giustizia sociale: il film di Hleb Papou? Una folgorazione

Germano Gentile nel ruolo di Daniel ne Il Legionario.

MILANO – Daniel è un poliziotto. Daniel ha una figlia in arrivo e una famiglia da costruire. Daniel diventerà padre, ma per ora è ancora un figlio e un fratello. Daniel è anche l’unico poliziotto di origine africana del Reparto Mobile di Roma, soprannominato Ciobar dai colleghi. Ha un unico, enorme, problema: deve sgomberare un palazzo occupato a San Giovanni in cui vivono oltre centro famiglie. Una è quella di sua madre e suo fratello. Che fare? Parte da qui, da una linea di trama che, ovviamente, incuriosisce immediatamente, ma bastano pochi minuti di cinema per capire che Il legionario di Hleb Papou – finalmente in sala con Fandango – è un film che fa sul serio e che non ha nessuna intenzione di fermarsi in superficie.

Germano Gentile in un'altra scena de Il legionario.
Germano Gentile in un’altra scena de Il legionario.

E allora sguardi, facce, espressioni, cuori e teste, ferite aperte e vite che cercano di capire quale strada prendere. Ma anche passato e presente, con una domanda che continua a girare come un mantra per tutto il film: quale futuro ci aspetta? Daniel – interpretato da Germano Gentile, davvero enorme nel rendere tutte le sfumature del personaggio – è un uomo buono che crede nella giustizia, mentre suo fratello Patrick (Maurizio Bousso, altra grande prova) sa che non basta sempre fare la cosa giusta per rimanere fuori dai guai. Ma non è solo Caino e Abele, polizia contro occupazione, abusivismo e legalità, perché Il legionario ha il grande merito di raccontare le zone grigie, le cose non dette, quelle che rimangono sempre in fondo al cuore e non possono essere spiegate.

Maurizio Bousso nel ruolo di Patrick, il fratello di Daniel.

Chi ha ragione? E, sopratutto, a cosa serve avere ragione se poi tutto va in frantumi? Qualcuno dirà che è un film sugli immigrati di seconda generazione, quelli che parlano romano meglio dei romani e che non hanno dubbi sulla loro identità. Vero. Ma Il legionario è anche un film di padri, sui padri: Daniel lo diventerà, Patrick lo è già a modo suo, Aquila (Marco Falaguasta, altra menzione, perché poteva diventare la solita macchietta) vorrebbe esserlo, ma non riesce nemmeno a fare gli auguri al figlio. Loro – come padri – sono il tramite tra quello che è stato, le origini in Camerun nel caso di Patrick e Daniel, e quello che sarà, forse una casa a Milano, anche se il tramonto di Roma è molto meglio. Sono loro, i padri, ad avere la responsabilità di gestire il passaggio tra mondi differenti.

Daniel e la compagna, Trisha, interpretata da Giorgia De Andreis.

Ma attenzione: che la tematica, profonda e nobile, non distolga però dal fatto che Il legionario è anche e soprattutto grande cinema, un film potente e solido che tiene incollato lo spettatore allo schermo per ottanta minuti, senza cadute di ritmo, dentro la pancia di una storia che alla fine non ha vincitori o vinti e fa riflettere sull’identità di ciascuno di noi. Un’identità però che va oltre l’anagrafe o il colore della pelle, oltre l’Italia multiculturale e la convivenza: ma chi siamo veramente noi? Siamo come siamo nati o come siamo diventati? Siamo dove siamo cresciuti o dove abbiamo scelto di vivere? E siamo come ci vedono oppure come ci sentiamo? Un film magnifico, assolutamente imperdibile.

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  • VIDEO | Qui il trailer del film:

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