Può essere istintivo considerare Il corriere come l’ennesimo film testamentario di Clint Eastwood? Sì, perché doveva esserlo già Gran Torino, undici anni fa. Nel frattempo però, di film ne ha girati altri sette e l’unica cosa certa oggi è che, comunque vada, raccogliere l’eredità del vecchio Clint sarà impossibile, perché il cinema di Eastwood non può prescindere dalla moralità e dalle regole di vita del suo autore. Ispirata alla storia vera di Leo Sharp, Il Corriere o – The Mule, come volete chiamarlo, è un’opera radicalmente eastwoodiana, che riprende i tratti distintivi più emozionanti della sua filmografia: il tempo che passa, i rimorsi e i rimpianti di un’esistenza trascorsa a sottovalutare gli affetti, oppure a non avere il coraggio di viverli, illudendosi che l’accettazione sociale potesse, da sola, bastare.
E così eccoci qui in sala davanti al veterano di guerra e appassionato floricoltore Earl Stone, novantenne separato e costretto ad affrontare il fallimento della sua impresa, un personaggio che è apertamente lo specchio di un cineasta che negli ultimi trent’anni ha sistematicamente messo in discussione le proprie certezze. Un autore che confeziona un commiato non per forza definitivo ma indubbiamente struggente, dove ribadisce l’importanza della famiglia nonostante le difficoltà di amare e di assumersi responsabilità, di scegliere le rinunce e di trascurare le distrazioni.
Con il suo pick-up, Earl accetta – senza fare domande – di trasportare grossi carichi di droga per un cartello messicano. Un insospettabile dal compenso remunerativo che si avvicina all’ultimo dei giorni ascoltando vecchia musica country come Don’t Let the Old Man In di Toby Keith. Un lavoro criminale e imprudente per chiunque che per lui, al contrario, diventa semplice e quasi banale. Almeno fino a quando i rapporti e i sentimenti non riemergono e lo rallentano, e il loro richiamo lo costringe a fare marcia indietro. Di fronte al pentimento, non è mai troppo tardi per dichiararsi colpevole.
Il Corriere non è però solo una confessione intima e personale di Clint, ma anche la riflessione di un repubblicano evoluto su un’America sempre più razzista e paranoica. Un agglomerato di differenze ed etichette che la Nazione tende ancora di più a ghettizzare: «negri, lesbiche, nonni, messicani». Straordinaria, a tal proposito, la scena in cui un anonimo automobilista latino viene fermato per un controllo dalla polizia e, terrorizzato, definisce quei momenti come «i cinque minuti più pericolosi per un uomo». E per chi ama la retorica eastwoodiana, l’agente della DEA interpretato da Bradley Cooper è un nuovo eroe della porta accanto di cui innamorarsi subito.
- Qui, il video di Don’t Let The Old Man In di Toby Keith:
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