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Il Buco, l’ingiustizia sociale e quella metafora sul cuore marcio del capitalismo

Il film chiude un’immaginaria trilogia distopica iniziata con The Cube e proseguita con Snowpiercer

Il Buco
Una scena de Il Buco

MILANO – Un violino che suona, e attaccato al violino un cameriere in una cucina. Poi, ecco quella che sembra una prigione. Infinita, disturbante, disumana. L’annientamento degli istinti più basilari dell’uomo, qui, avviene attraverso il cibo in una metafora che colpisce dritta al cuore marcio del capitalismo, alla perfida dinamica della classificazione sociale in base a quanto si può possedere. Questo – e molto altro – è Il Buco, nuovo thriller targato Netflix diretto dal regista spagnolo Galder Gaztelu-Urrutia. Di fondo, è sempre la stessa storia: chi ha troppo e chi ha troppo poco. In un luogo non ben definito, un’organizzazione ha creato il buco.

L'ascensore de Il Buco
L’ascensore

Chi si ritrova al suo interno, per scelta o per scontare una pena, si sposta mensilmente tra i diversi livelli e su ogni livello vivono solo due persone. Una piattaforma-ascensore si sposta ogni giorno lungo il buco al centro di ogni livello, allestita come uno sfarzoso banchetto. Ma la trappola è tremenda: inizialmente è perfetta, man mano che scende le persone mangiano con ingordigia finché a un certo punto, intorno al livello 50, il cibo finisce, e per quelli ai livelli più bassi non rimane niente. Per questo è come giocare al lotto quando si pensa a quale livello ci si troverà il mese successivo, perché ai piani alti si mangia sempre ma più ci si trova in fondo più si patisce la fame.

Il piano terra...
Il piano terra…

E nella disperazione più totale, nella follia che attanaglia la mente e dissolve la realtà, accanirsi sui propri simili pur di cibarsi diventa inevitabile. Fanno da contrasto le poche scene che mostrano le cucine, il rigore e l’eleganza degli chef nel preparare piatti raffinati che poi posizionano sulla piattaforma. Mentre li vediamo indaffarati nel candore della loro atmosfera di classe ci chiediamo se sappiano veramente cosa succede ai livelli inferiori. Il tentativo di convincere tutti a mangiare solo la propria razione senza abbuffarsi in modo che ci sia cibo per tutti fallisce miseramente, troppo forte è l’impulso che spinge alla sopravvivenza. “Il cambiamento non è mai spontaneo” è lo sconsolato riassunto di questa ruota infernale.

Iván Massagué
Iván Massagué è Goreng

Quelli dei piani alti non si preoccupano di quelli sotto (e perché dovrebbero?) mentre con quelli ai piani bassi non bisogna parlare; bisogna disprezzarli semplicemente perché sono in una posizione inferiore, senza tenere in considerazione che ci si potrebbe trovare al loro posto. Tentare di rompere il meccanismo diventa la missione di Goreng (Iván Massagué), il protagonista, che solo con il sacrificio finale riesce a mettere in atto: una bambina, clandestina, diventa il messaggio di speranza che potrebbe far cambiare le cose. Ma rimane una domanda, fondamentale: chi, e soprattutto quali classi sociali, sono veramente disposte a cambiare, a rompere la ruota?

La grande abbuffata de Il Buco
La grande abbuffata de Il Buco

Dall’ultimo livello, il 333, Goreng si trasforma nel portatore del messaggio e lascia salire verso l’alto quel simbolo in forma di ragazzina, l’ascesa che però racchiude in sé solo la possibilità di un avvenire diverso. Non sappiamo come andranno le cose. Negli attimi finali vediamo separarsi il vecchio e il nuovo: l’antico modo di pensare, ormai superato e rappresentato da Goreng, e la speranza del futuro. Rimane però la traccia indelebile di quello che accade nel Buco, quindi di quello che sta accadendo a noi (non solo oggi), e il timore che in realtà non possa esserci una risoluzione. In fondo, “non ci sono meccanismi, solo il Buco”.

Qui potete vedere il trailer originale de Il Buco:

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