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VENEZIA 77 | Gianfranco Rosi: «Notturno e quella dimensione umana dietro la guerra»

Il regista presenta il suo documentario, dove porta alla luce l’umanità dietro il buio dei conflitti

Gianfranco Rosi a Venezia 77 con Notturno
Gianfranco Rosi a Venezia 77 con Notturno

VENEZIA – Un quaderno nero, un pennarello rosso e una piantina del Medio Oriente. Arriva così in conferenza stampa Gianfranco Rosi per presentare Notturno, documentario presentato in Concorso a Venezia 77 (e ora disponibile su CHILI) – a sette anni dal Leone d’Oro per Sacro Gra – con il quale il regista racconta la quotidianità che sta dietro la tragedia delle guerre, dittature e invasioni straniere che hanno dilaniato il Medio Oriente. Un racconto che va oltre i confini geografici e con il quale il regista porta alla luce l’umanità dietro il buio della Storia.

Notturno
Rosi e la sua camera Arri

IL RITMO «La scena iniziale con i soldati mi sembrava mancata, incompiuta. Poi, ripensandoci, ho capito che evocava la sensazione di quello che accade in Medio Oriente. Un urlo di guerra che poi sparisce lasciando un momento di pace interrotto da un altro battaglione che sopraggiunge. È quello che succede lì. Una zona di guerra e brevi momenti di pace. Il film ha questo ritmo, senti il pericolo a distanza e poi ti arriva alle spalle».

Notturno di Gianfranco Rosi
Notturno di Gianfranco Rosi

I CONFINI «Mi ero formato abbastanza all’inizio di Notturno. Poi, dopo tre anni passati lì, posso dire di saperne ancora meno di prima. Non voglio dare risposte, non mi sono neanche posto domande. Volevo trovare storie che avessero una quotidianità all’interno di questi confini. L’idea iniziale era di distruggere questi confini, non volevo ci fosse una dimensione geografica ma una separazione mentale dove si potessero unire. Sentivo che dovevo andare al cuore della storia e la sua essenzialità».

checkpoint
Terra di confine

IL MONTAGGIO «Per arrivare alle location si potevano impiegare anche 4 giorni di macchina. Dovevamo cercare un elemento di racconto che bastasse a non chiedersi cosa ci fosse prima o dopo quella scena. Sgretolare tutto e renderlo astratto è stato difficilissimo. Bastava dare un’informazione in più e non ci si voleva più staccare da quel personaggio. Dovevamo trovare il punto in cui se lasci la storia e ne agganci un’altra allo spettatore non mancherà. Come una composizione musicale in cui il silenzio è fondamentale».

Un'immagine del documentario
Un’immagine del documentario

LA DIMENSIONE UMANA «L’idea dei confini non appartiene a quella regione. Sono stati tracciati dalle potenze coloniali senza considera cultura, etnie, radici. Da lì nasce il disastro della Storia che conosciamo. La vera vittima è stata la civiltà civile. Quando ero lì volevo rompere questa divisione anche se il film è girato all interno di questi confini. Volevo annullare le separazioni e che il film fosse portato avanti dai personaggi che hanno un elemento archetipo molto forte. Mettere riferimenti geografici sarebbe stato didascalico. Il legame era quello della dimensione umana e non geografica».

Un momento di Notturno
Un momento di Notturno

L’INTIMITÀ «Ci ho pensato per mesi prima di iniziare a girare, nulla accade per caso. Ho impiegato molto tempo per trovare ogni singola persona. I primi sei mesi li ho trascorsi senza camera e poi ho deciso di iniziare a filmare. Devi creare un’intimità. Ci sono scene che sapevamo sarebbero successe ma nulla è stato scritto. Il film è solo l’1 % di quello che avrei potuto inserire. Le cose che non vedi che perdi ci sono ugualmente. Un buon film è quando c’è la sensazione anche di quello che manca prima o dopo l’inquadratura».

Alì, il bambino senza parole
Alì, il bambino senza parole

ALÌ «Non conoscendo la lingua non riuscivo a interagire, a cogliere una battuta. Mi dovevo fidare del mio istinto. Alì non è muto ma non parlava mai. L’intensità del suo sguardo racconta cose immense. Ogni suo primo piano è un dialogo infinito che apre a qualsiasi interpretazione. Con lui avrei girato per un anno, era complesso e intrigante. Uno dei momento che amo di più è il suo primo piano alla fine di Notturno che sottolinea un futuro sospeso, lo stesso del Medio Oriente».

Notturno
I prigionieri nel carcere curdo in Siria

IL MANICOMIO «Era difficilissimo avere i permessi per girare nel manicomio. Il Direttore non voleva che filmassi i pazienti. L’ultimo giorno utile, disperato perché convinto che avrei dovuto abbandonare quella storia, scopro che c’è un teatro e sento delle persone che ridono. Mi siedo lì dieci minuti e chiedo al medico di cosa si trattasse. Era la terapia del teatro con cui raccontavano la storia di tutto il Medio Oriente. Per un mese ho ripreso quotidianamente le prove, poi un giorno va via la luce ho potuto riprendere anche i corridoi del manicomio perché i volti dei pazienti non si vedevano. I miei film nascono attraverso il caso e poi diventano necessari. Per quello che non riuscivo a raccontare con le interviste che non faccio mai mi ha aiutato il teatro. Un testo che parlava di passato, presente, Isis, invasioni. Una gemma preziosissima che in montaggio abbiamo capito poteva essere il filo conduttore del film».

  • Volete vedere Notturno? Lo trovate su CHILI

Qui l’intervista video a Gianfranco Rosi:

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