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George Miller: «Furiosa, la scelta di Anya Taylor-Joy e l’importanza dei western»

Il set, l’Australia, la saga di Mad Max, la sua carriera: a Los Angeles in conversazione con il regista

Furiosa
George Miller e la saga di Mad Max: una storia iniziata nel 1979.

LOS ANGELES – Sì, lo scenario è sempre quello: un deserto post-apocalittico, un mondo distopico che ha vissuto nella testa di George Miller – e poi nella nostra – per quasi mezzo secolo. E non poteva essere altrimenti, perché Furiosa – A Mad Max Saga, a nove anni di distanza, ci spiega cosa sia davvero successo a Furiosa prima di Mad Max: Fury Road, pellicola che nel 2015 ha incassato 400 milioni di dollari e dove l’eroina aveva il volto di Charlize Theron. Questa volta nei panni della giovane protagonista c’è invece Anya Taylor-Joy, al fianco di Chris Hemsworth, che è il nuovo villain Dementus, e Tom Burke, che interpreta Praetorian Jack. Dopo la presentazione a Cannes, noi di Hot Corn abbiamo avuto l’opportunità di parlare del film con Miller che, così come per gli altri quattro capitoli della saga iniziata nel 1979 con Interceptor e Mel Gibson, ha scritto, diretto e immaginato il film.

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George Miller sul set di Furiosa con Chris Hemsworth.

LA SAGA – «Il segreto del successo? Non credo si possa dare una risposta esaustiva al perché la gente si sia appassionata a questa saga. Forse per lo stesso motivo per cui io amo raccontare questo tipo di storie. La saga di Mad Max è fondamentalmente un’allegoria, come lo sono i film western, le fiabe, i racconti della tradizione popolare, le mitologie e persino le storie religiose. La bellezza sta negli occhi di chi guarda e questo vale anche per le storie, che arrivano quando ci toccano. Per questo credo che i film possano comunicare molto. Tendenzialmente infatti c’è molto di più di quello che si vede. Io racconto delle storie, le offro alle persone e loro ne fanno quello che vogliono».

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Anya Taylor-Joy sul set di Furiosa prima di girare una scena.

IO & ANYA – «Di Anya Taylor-Joy avevo visto solo qualche spezzone di The Witch, prima che girasse La Regina degli Scacchi. A un certo punto Edgar Wright mi ha mostrato una scena di Ultima notte a Soho e per la prima volta in lei ho visto qualcosa di convincente. Ho spiegato a Edgar per che ruolo mi interessava e lui mi ha detto: “Ha tutto, George. Qualunque cosa tu abbia bisogno che faccia, lei può farla”. Mi sono fidato della sua opinione e si è rivelata giusta. Voglio dire, è un ruolo difficile, Furiosa è come un personaggio dei classici western, visto che – in fondo – i Mad Max sono western su ruote. Max, in tutte queste storie, non dice quasi nulla. Furiosa, in Fury Road, non dice quasi nulla. E anche in questa storia non può farlo perché potrebbe rivelare il Luogo Verde da cui è stata rapita. Inoltre, nella Terra Desolata, le parole non hanno molto significato perché fondamentalmente si interagisce con l’azione. C’è qualcosa di atemporale in Anya, qualcosa nel suo viso. Percepisci che c’è un sacco di roba che si agita all’interno e che, in qualche modo, diventa evidente senza che debba sforzarsi per renderla evidente…».

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Tom Burke e Anya Taylor-Joy in una scena del film.

LA TERRA DESOLATA – «Anche se è ambientato in un futuro post- apocalittico, le dinamiche dei personaggi della Terra Desolata risalgono ai secoli bui o al Medioevo. Non ci sono auto elettriche, non si può usare il cellulare o la carta di credito, non c’è refrigerazione, non ci sono reti elettriche e non ci sono istituzioni. Quindi, si torna a un comportamento più elementare. E in qualche modo, questa è la cosa che mi attrae, quando si raccontano storie in cui le persone hanno a che fare con un mondo estremo e c’è un conflitto. Perché il conflitto, come sapete, è il punto fermo di ogni dramma fin dai tempi più antichi in tutte le tradizioni narrative. Cosa succede quando il conflitto si intensifica nelle storie? Rivela l’essenza dei personaggi e del mondo. Questo è l’aspetto che, ancora una volta, mi entusiasma nella narrazione».

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Ancora Miller sul set con Hemsworth prima di girare.

IO & CHRIS – «La scelta di un attore è spesso intuitiva. Ovviamente conoscevo il lavoro di Chris Hemsworth e non credevo che nessun altro avrebbe potuto interpretare quel ruolo. L’ho incontrato e ho parlato con lui. È una persona multidimensionale in tutti i sensi, sia come essere umano che nell’approccio alla recitazione e ho pensato: “Caspita, qualunque cosa faccia, sarà interessante”. E così è stato. Il suo personaggio è una specie di uomo di spettacolo, un predone che attraversa una terra desolata insieme a un’orda, simile ai Romani o a Gengis Khan. Dementus l’avevo scritto in un determinato modo, avevamo fatto anche dei concept art e in uno lo avevamo realizzato con un naso aquilino. Lui l’ha visto e ha detto: “Beh, mi piace”. E io ho detto: “Oh, fantastico”. C’è stato questo processo all’inizio ma poi è stato soprattutto il lavoro sul set a fargli assorbire Dementus. Ci sono stati momenti in cui guardavo la sua performance e mi chiedevo a cosa si fosse ispirato. Se dovessi fare un’analogia userei l’atletica: è come avere un grande atleta, tu lo prepari, lo guidi, ma per quanto rigorosa sia la preparazione, nel momento della performance non si sa cosa farà in campo. Gli attori puoi guidarli ma non ne hai un vero controllo. Così è successo a me in questo film ed è davvero una cosa meravigliosa da vedere…».

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I tre protagonisti di Furiosa: Taylor, Burke e Hemsworth.

L’ORSACCHIOTTO – «L’unica cosa rimasta, alla fine, di quei concept art, è l’orsacchiotto per il quale c’era un’idea di fondo che Chris ha sviluppato più di come si pensava inizialmente. L’orsacchiotto infatti era presente nella sceneggiatura, ma non così deliberatamente come è stato fatto poi. Lui l’ha visto come un modo per entrare in contatto con Furiosa, si è visto come un mentore un po’ stravagante. In tutte le storie ognuno porta con sé la propria e anche Dementus non si sa bene cosa abbia passato, ma tutti nella Terra Desolata hanno dovuto affrontare grandi prove. In qualche modo lui le ha fatto da mentore, si è espresso attraverso l’orsacchiotto. La cosa interessante è che i genitori di Chris erano assistenti sociali in Australia e sono stati i primi a lavorare con i bambini maltrattati. Chris ne è stato testimone, ha visto durante la sua infanzia il lavoro che i genitori hanno fatto, quindi ha una grande saggezza e conoscenza su questi argomenti. E questo è confluito nel suo lavoro».

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Thor? No. Chris Hemsworth in un altro momento del film.

EFFETTI PRATICI E SPECIALI – «La prima cosa da dire è che ad attirarmi è sempre la storia. La storia viene prima di tutto, il resto segue. Detto questo, la cosa successiva che mi interessa molto sono gli strumenti del cinema. Quarant’anni fa ho iniziato nell’era della celluloide analogica ed era una situazione completamente diversa rispetto al lavoro in digitale, le cineprese erano molto più goffe, il processo era molto più elaborato, c’era poca agilità, gli strumenti erano limitati. È incredibile come nei 130 anni di cinema, e in particolare nell’era del muto, siano stati realizzati film meravigliosi. Ora però siamo riusciti ad arrivare a lavorare in digitale, dunque gli strumenti sono migliorati e quelli che abbiamo usato per fare Furiosa, rispetto a quelli usati per lavorare a Fury Road quasi un decennio fa, erano molto diversi. Questa è la prima cosa: ora c’è molta più plasticità nel processo. La seconda cosa è che, se si alza il pollice e si allunga il braccio il più possibile e si guarda l’unghia del pollice, si può mettere a fuoco con precisione solo l’unghia del pollice. Tutto il resto è visione periferica. Noi dobbiamo assicurarci, per quanto possibile, di prevedere dove la maggior parte del pubblico guarderà e che quella cosa sia il più possibile reale. Nei film non si può andare contro le leggi della fisica, nessun uomo o veicolo vola, tutto è reale. Faccio un esempio facile: Dementus che guida in una grande tempesta di sabbia. La tempesta in sé viene creata a livello pratico con le macchine del vento, ma a livello più ampio non è possibile creare una tempesta enorme, sarebbe ridicolo e non funzionerebbe perché non si potrebbe controllare. Quindi, intorno a Dementus la tempesta è creata con gli effetti pratici, mentre quello che rientra nella visione periferica viene fatto in digitale».

Dietro le quinte di Furiosa.

AUSTRALIA – «È stato fantastico girare in Australia perché Fury Road, che doveva essere girato in Australia, è stato interrotto dalla pioggia. Il deserto è diventato un giardino fiorito e siamo dovuti andare in Namibia, sulla costa occidentale dell’Africa, dove non piove. E per quel film è stato fantastico. Per questo film, che aveva tante location diverse, siamo stati in grado di girare in Australia e di modificare le location nella misura in cui era necessario. Abbiamo gestito tutto come un’esercitazione militare. Stiamo parlando di un set che doveva rappresentare il collasso dell’umanità, un luogo dove probabilmente c’è stata una catastrofe climatica e quello che ora è un deserto semi-arido in Australia è stato trasformato in un deserto. La troupe era davvero numerosa, si è trattato di un grande esercizio logistico; considera che i titoli di coda sono composti da circa 1.200 persone. Si trattava di una tendopoli che si spostava, c’erano tre o quattro unità: un’unità principale, un’unità per gli effetti visivi, un’unità di ripresa e l’unità di Guy Norris, con cui lavoro ormai da 41 anni, da Interceptor – Il Guerriero della Strada (Mad Max 2). E sono estremamente fortunato a lavorare con persone molto brave che lo fanno da tempo e conoscono il processo, si tratta di un’attività che richiede un sacco di protocolli di sicurezza».

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George Miller in azione sul set di Furiosa.

DOTTOR MILLER – «Con il passare del tempo, ho iniziato a capire che probabilmente il motivo per cui continuo a fare film è lo stesso per cui, da giovane, ho deciso di diventare medico. Ho sempre voluto sapere chi siamo come esseri umani. La prima cosa che si fa da medico è l’anamnesi, ovvero si studia la storia del paziente perché così, prima di tutto, si guarda all’essere umano nella sua completezza. Poi si restringe il campo alla patologia specifica, se ce n’è una. Questa è la prima cosa. Poi c’è il lato pratico: per fare bene il medico, è necessario lavorare in team coordinati e che condividono le stesse idee che è esattamente quello che fa una troupe. Molte delle cose che mi sono diventate familiari quando ero un giovane medico e mi occupavo di gestire i problemi, sono le cose che si fanno su un set, come decidere dove concentrare le proprie energie e quelle degli altri, come capire o cercare di capire il comportamento di fondo di noi esseri umani. Anche in un mondo post-apocalittico si ha a che fare con persone che si trovano in situazioni estreme, come la morte e come il parto; quest’ultimo poi è qualcosa di eroico, soprattutto per una donna che in pratica rinuncia ai propri interessi personali per un altro essere umano e che, come diceva Joseph Campbell, è la qualità essenziale dell’eroe. Studiare l’essere umano in situazioni estreme, dal punto di vista fisico e psicologico, è esattamente quello che fa un medico ma anche chi racconta storie…».

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