MILANO – Il matrimonio di Flaminia De Angelis (Michela Giraud) – ragazza di Roma Nord allegra, ossessionata dalla sua forma fisica e di famiglia benestante – con Alberto (Edoardo Purgatori), figlio di un influente diplomatico, è alle porte. I piani per un matrimonio perfetto vengono sconvolti quando nella vita della famiglia De Angelis ricompare Ludovica (Rita Abela), la sorellastra di Flaminia con disturbi dello spettro autistico. Il ritorno di Ludovica mette in luce le ipocrisie che Flaminia credeva di ignorare, mentre le due sorelle iniziano a riscoprire un legame dimenticato.
Con Flaminia, Michela Giraud veste i panni di attrice e autrice (per la prima volta) con un racconto dal sapore autobiografico che non abbandona la caustica ironia della comica romana per rafforzare una storia di famiglia, ipocrisia e sorellanza. Al cinema dall’11 aprile con Vision Distribution. Sin dai primi momenti del film di Flaminia, c’è un sentore di voler rivestire con una patina da millennials un umorismo di vanziniana memoria, non ricercando inutili e ipocriti intellettualismi, ma bensì traslando quella comicità ai giorni nostri.
Operazione complessa, ma non impossibile per una comica come la Giraud che non ha mai nascosto questo suo talento per modernizzare e rendere glamour un’ironia (a volte) anche coatta. Flaminia è un film che si fa strada tra citazioni e riferimenti di attualità, ricercando una visione precisa anche con una certa smania ed affanno, sottolineano l’aspetto – e non il difetto – più chiaro del film. Un racconto ancora acerbo per il cinema, che risente della chiara eredità della stand-up dalla quale arriva la sua autrice, ma che rende la prima esperienza filmica della Giraud (oltre ad essere comicamente “tagliente) una storia che scorre con una certa naturalezza senza apparire macchinosa.
Sicuramente il merito è da rintracciare nell’aspetto autobiografico del racconto di Michela Giraud, che riprende quel senso di ‘vergogna’ che la comica stessa ha ammesso di aver provato in passato per Cristina, la sua (reale) sorella autistica. La componente della vergogna filmica in Flaminia si erge come riscatto per un personaggio disordinato, ma in fondo buono, scritto probabilmente cercando il perdono non solo della vera sorella, ma anche nei confronti di una comicità di cui la Giraud forse inizia a sentire la stanchezza (Flaminia nel film ripudia canzoni simili a quelle del repertorio di Giraud e rimprovera una ragazza che guarda i video della Giraud).
Questa duplice ricerca del riscatto è da rintracciare anche in una seconda parte del film più drammatica (claudicante, ma sincera) e concentrata sui temi portanti del film quali la sorellanza e tutte le conseguenze di questa visione della Giraud acida, feroce e critica verso l’ipocrisia. Flaminia è una commedia umana sugli umani, fatta di maschere assurde e allo stesso tempo plausibili: Antonello Fassari interpreta il padre di Flaminia (che arrivando da I Cesaroni tiene salda la romanità del film, ma faceva anche parte del cast de Le finte bionde di Carlo Vanzina che sembra un po’ un manifesto per i comici romani della generazione della Giraud).
E ancora Lucrezia Lante della Rovere interpreta Paola, la madre di Flaminia, con una parte che sembra un suo alter ego; Nina Soldano è l’Angelina Jolie della beneficenza romana, la madre della sposo direttamente ripescata dalla passione della Giraud per Un posto al sole. C’è anche Andrea Purgatori in uno degli ultimi camei prima della sua scomparsa (ed anche un cameo di Enzo Salvi). Queste facce, comprese anche quelle di Michela Giraud e quella di Rita Abela, raccontano di una società caustica ancora convinta e ottimista di essere buona e in qualche modo scusata per i suoi errori. Il pubblico in sala perdonerà eventualmente anche alcuni errori della Giraud, per quello che è un film onesto che farà sicuramente breccia nel core di più di qualcuno.
- HOT CORN TV | Michela Giraud e Rita Abela raccontano Flaminia
- VIDEO | Qui per il trailer del film:
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