MILANO – «Ma che ore sono?». «La manina sta sul 7, la manona sta sul 9. Ma dov’è la mamma? Mi deve portare a scuola…». Nel 1980, a nemmeno nove anni, fu il più giovane interprete ad essere candidato all’Oscar come miglior attore non protagonista. Un record assoluto che smentì categoricamente Dustin Hoffman che – solo qualche mese prima – durante i casting di Kramer contro Kramer, nemmeno lo voleva. Era convinto che suo figlio sul set dovesse assomigliargli molto di più, che non avrebbe funzionato. Invece Justin Henry, bambino di Rye, poco fuori New York, senza alcuna esperienza nel cinema, divenne Billy Kramer e in breve tempo si trasformò nel simbolo di tutti i figli di coppie divorziate. Il veicolo? Un film che sulla carta poteva essere solo un melodramma da kleenex e che invece Robert Benton trasformò in un’opera delicata che rifletteva su un fenomeno che stava letteralmente spaccando la società americana.

Ma facciamo un passo indietro: all’inizio di tutto c’era stato un libro, di Avery Corman (in Italia pubblicato da Sonzogno, ma mai più ripubblicato recentemente), ma fu il film – uscito negli Stati Uniti il 19 dicembre del 1979 e in Italia pochi mesi dopo, il 7 marzo 1980 – a cambiare la percezione nell’opinione pubblica della custodia dei figli, a mostrare la guerra impietosa tra marito e moglie che non intendevano fare prigionieri. Coppie spezzate e affidate ad avvocati senza scrupoli, pronti ad attaccarsi a una parola, un gesto, un incidente non voluto: «Vorrei sapere chi ha detto che una donna è un genitore migliore in virtù del suo sesso», riflette a un certo punto Dustin Hoffman davanti al giudice raccontando la routine che ormai ha con il suo Billy: le sveglie al mattino, i toast alla francese, e poi i giochi, gli abbracci, l’intesa e quel groppo in gola che non vuol saperne di andarsene.

Justin Henry divenne il simbolo di tutto questo, con il suo caschetto biondo che faceva tanto anni Settanta, lo sguardo dolce e perso in mezzo a una battaglia familiare che non aveva certo scelto lui e che comunque doveva combattere e sopportare. Dopo la nomination all’Oscar – che ovviamente non vinse, la statuetta andò a Melvyn Douglas per Oltre il giardino – Henry girò altri cinque film negli anni Ottanta (tra cui Sixteen Candles – Un compleanno da ricordare, che meriterebbe un articolo a parte) e poi sparì, per ricomparire casualmente a metà anni Novanta in alcune puntate di E.R. e addirittura in Lost (era Chester Gould). Ad un certo punto però ha abbandonato la carriera cinematografica, tanto che ora lavora come responsabile televisivo a AOL, il suo volto quasi irriconoscibile, se non per qualche lineamento che ricorda vagamente Billy.

Ma cosa rimane quarantacinque anni dopo? Sono rimasti i due divi: Dustin Hoffman, 87 anni, visto l’anno scorso in Megalopolis, Meryl Streep un’icona di 75 anni che ora si sta preparando a Il diavolo veste Prada 2, mentre Justin Henry è ormai un cinquantenne in carriera e Robert Benton e Avery Corman sono due ultranovantenni (!) in buen retiro da qualche parte tra California e Florida. Eppure, potere immenso del cinema, ogni volta che in televisione passa Kramer contro Kramer ricomincia tutto di nuovo. Come la prima volta. Billy e Joanna e Ted, la famiglia spezzata, quella lotta, le lacrime, il parco giochi, le foto dei giorni felici, la scena dell’ascensore, New York e quei maledetti toast alla francese. Che ci fanno piangere ogni volta. «La manina sta sul 7, la manona sta sul 9. Ma dov’è la mamma?»…
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