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Ettore Bassi: «La modernità de L’attimo fuggente e l’onore di diventare John Keating…»

Il cult di Peter Weir arriva a Milano in teatro e l’attore ce lo racconta. Tra poesia e attualità

ettore bassi
Ettore Bassi è John Keating nell'adattamento teatrale de L'attimo fuggente

MILANO – Poco più di trent’anni fa un film scriveva una pagina di storia del cinema. Da quel 1989, L’attimo fuggente ha ispirato generazioni e cambiato prospettive grazie al professor John Keating dalle idee rivoluzionarie interpretato da Robin Williams. Non è un caso, quindi, che per trent’anni i diritti siano stati negati a chiunque avesse intenzione di farne rifacimenti, anche se Schulman una versione in prosa l’aveva scritta. Proprio per il teatro. Oggi quella versione va in scena, in uno spettacolo dal titolo omonimo di Marco Iacomelli con protagonista Ettore Bassi. Stessa ambientazione, stessa epoca, molti cambi di scena e la poesia di sempre che ritornano al Teatro Arcimboldi a Milano il 14 e 15 gennaio (qui). Qui Ettore Bassi racconta a Hot Corn l’emozione di diventare John Keating.

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Ettore Bassi nell’adattamento de L’attimo fuggente. Foto Giovanna Marino

IO & KEATING – «Ho voluto fortemente interpretare questo ruolo dall’inizio. Lo racconto sempre, mi sono sfacciatamente proposto alla STM, a Marco (Iacomello, il regista, ndr), a Davide (Ienco, produttore, ndr), per poter vestire i panni di John Keating che per me è sempre stato una figura fortissima, emblematica. Ancor più in un momento in cui personalmente sento il bisogno, come attore, di vestire un ruolo che vada incontro a ciò che più sento vicino. E questa è la fortuna di poter fare un lavoro come il mio. Sono entusiasta del gruppo di lavoro che ho trovato ne L’attimo fuggente, un cast che mi aiuta ogni giorno a tirar fuori il meglio».

IL RUOLO – «Interpretare Keating? Una responsabilità enorme e, allo stesso tempo, un grande onore. Non solo perché vesto i panni di un ruolo che è stato messo in scena da un grande attore come Robin Williams, ma anche perché veicolo un messaggio in cui credo profondamente. Non solo, ritengo che oggi sia di particolare attualità, soprattutto per i ragazzi, le generazioni più giovani, che soffrono questa situazione assurda che stiamo vivendo. Sento che, ogni sera, dire quelle parole è una responsabilità pesante e anche un grande dono…».

L’attimo fuggente in scena a teatro con Bassi. Foto Giovanna Marino.

IL FILM – «Non ricordo esattamente la prima volta che vidi L’attimo fuggente. Lo vidi causalmente e ricordo l’emozione fortissima che mi lasciò. L’identificazione negli studenti fu immediata. Poi, come spesso succede, quell’immagine, quell’emozione, quell’esperienza, si sono messe in un angolo e sono rimaste lì. Per qualche ragione, circa tre anni fa, all’inizio di questa avventura, ero alla ricerca di un nuovo testo da poter interpretare e mi venne un’ispirazione immediata. Mi tornò L’attimo fuggente. Così iniziai a fare una ricerca e scoprii che STM stava approcciandosi alla preparazione dello spettacolo. Quell’emozione sedimentata all’epoca era rimasta viva. Una brace che ha continuato a bruciare e al momento giusto si è riaccesa…».

IL TESTO – «Come spesso succede in testi che rimangono nella storia quello che contengono ha un piano di lettura che va interpretato su più livelli. Quello che racconta Tom Schulman secondo me va letto oggi anche su un piano simbolico. Non è soltanto lo scontro e il confronto tra lo studente e l’educatore, ma anche tra una giovane anima e il sistema. Questo è un conflitto eterno ed è qualcosa che oggi vediamo in maniera inequivocabile e potente. Credo che questo messaggio sia attualissimo anche se presentato in un’epoca apparentemente distante da allora».

Robin Williams e i ragazzi de L’attimo fuggente. Era il 1989.

IL MIO ATTIMO – «Il mio attimo fuggente è oggi. Per la prima volta nell’arco della mia vita sento di dover essere al punto in cui ci si deve misurare con questi valori. Non è più solo un’occasione di intrattenimento, sono queste le cose con cui si deve fare i conti. Se le si dice con un’importanza, con una tale dedizione, in uno spettacolo teatrale, perché lo si fa? Perché gli autori della grande letteratura scrivono? Perché Whitman ha scritto quei versi? Forse perché ci dovesse essere qualcuno che prima o poi avesse l’occasione di metterle in pratica. Per me oggi il carpe diem è esattamente questo. L’oggi in cui mi trovo a chiedermi se quello che io dico sul palco poi alla fine davvero entra nella mia vita».

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