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Emanuele Frusi: «Io, il ritorno del cinema di genere e il mestiere di fare musica»

Da Marco Bocci a Junkie XL. La nostra intervista al composer di Calibro 9 e Bastardi a Mano Armata

Emanuele Frusi
Emanuele Frusi

ROMA – «Shanghai, Pechino, Londra, Roma, Los Angeles. Quante storie di musica avrei da raccontare!». Capita raramente che un’intervista diventi una piacevole chiacchierata. Come questa volta, a parlare di cinema, di colonne sonore e più in generale dell’importanza nevralgica dei lavori artistici. Dall’altra parte del telefono, in un caldo lunedì di fine febbraio, c’è Emanuele Frusi, musicista, composer e sound designer che – dopo aver lavorato ai quattro angoli del mondo – completa un’ipotetica trilogia, firmando la colonna sonora di Bastardi A Mano Armata e di Calibro 9, dopo lo straordinario (e consigliato) A Tor Bella Monaca non Piove Mai. Tutti e tre prodotti da Minerva, tutti e tre in cui è protagonista (o regista, come nel caso di Tor Bella) l’amico Marco Bocci. Entrambi umbri, entrambi fautori di un cinema artigiano e finalmente pop. «L’esperienza di Tor Bella è stata fantastica», ci dice Frusi, «e con Marco è nato un bel rapporto. Devo ringraziare Gianluca Curti e Gabriele Guidi di Minerva per questo. Hanno avuto anche il coraggio di far tornare importante il cinema di genere in Italia».

Emanuele Frusi in studio di registrazione
Emanuele Frusi in studio di registrazione

Emanuele, ci racconti il tuo viaggio?

«Ho iniziato da bambino, suonavo e suono il basso elettrico. Sono partito in turnée per tanti anni, poi la grande occasione è arrivata nel 2013, in Canada, dove scrissi la colonna per JackHammer. Mi piaceva quel processo, e allora perché non riprovarci? Ho conosciuto un ragazzo, Terry Chow, di Shanghai, e sono stato lì per un po’. Sono tornato in Italia, poi ancora in America, mentre avevo iniziato a lavorare per la Cina. Ero a Los Angeles quando mi chiama Gabriele Guidi di Minerva, mi propose un lavoro. Presi l’aereo, e lessi la sceneggiatura. In Italia incontrai Marco Bocci, non lo conoscevo molto. Parlammo e ci trovammo subito. E siamo finito a fare A Tor Bella Monaca non Piove Mai…»

Un grande film. Che esperienza è stata?

«Tor Bella… Quanto ci siamo divertiti, un lavoro fantastico e una produzione incredibile. Tant’è che Gianluca – mentre ero in Inghilterra – mi ha chiamato per Calibro 9. Finito, ecco arrivare Bastardi a Mano Armata. Complice la pandemia, abbiamo lavorato quasi sempre via Zoom».

Hai girato il mondo. Pro e contro?

«Sono mondi differenti, ma non sulle professionalità e non sul dettaglio del lavoro. Cina e USA hanno un mercato enorme, e i ritmi sono più veloci, e le risorse in campo sono sempre tante. La differenza che ho percepito è questa, ci si confronta con tante persone che curano un solo reparto. In Italia il gruppo è più ristretto. All’estero ci si trova bene, in Italia siamo abituati alla creatività anche considerando la logistica del lavoro. Però, noi abbiamo una mentalità più reattiva e artigianale. Se lavori bene in Italia lavori bene ovunque».

Cosa hai trovato all’estero che non c’è qui?

«Quello che non c’è in Italia? L’attenzione a produrre più generi. Quello che manca all’estero? Una mentalità più smart. C’è da affrontare una cosa? Affrontiamola. L’italianità alcune volte ci distingue, anche perché per fare un lavoro artistico, noi, dobbiamo lottare. Pensa che la colonna sonora di Bastardi è stata fatta in un mese. All’estero è un lavoro inquadrato, nel bene e nel male».

Questo perché in Italia si fatica a spiegare che anche l’arte è un lavoro. Pensa ai TG, quando parlano di occupazione e fanno vedere le immagini di una fabbrica…

«È vero. In Italia faccio ancora fatica a spiegare cosa faccio. Era impensabile per me lavorare in Italia all’inizio, e riconosco che il mio è stato un percorso fortunato. Dietro un film c’è una filiera, una macchina mostruosa. Spesso si fanno film con la metà della metà delle persone, con risorse minori. Ma c’è un problema di fondo. Il cinema non è solo intrattenimento, ma industria: dai giornalisti ai registi, dagli attori agli esercenti».

Altro scontro: digitale e sala. Che ne pensi?

«Il digitale apre il mercato a tante persone, avvicina il mercato e avvicina gli spettatori. Però lo streaming e la sala hanno strutture diverse, sono due processi destini e non è la stessa cosa vederlo al cinema o in tv. Per un’ovvietà di cose, se togli la sala ad un film togli il motivo per cui sono fatti. Lo streaming non sostituisce il cinema, ma convince le persone ad andare al cinema. Se non hai avuto modo di andare in sala, usa lo streaming per invogliarti. Scopri il cinema, vedi un film e capisci che l’esperienza è diversa. Le persone in sala cambiano prospettiva. Il cinema non è solo struttura, ma sono le persone che cambiano il cinema. Come la prima volta di Jurassic Park al cinema, quei passi che risuonavano nel buio… Ecco, non va tolta questa emozione ai ragazzi».

Tra l’altro ho notato che sta tornando molto il cinema di genere.

«Sta tornando, e meno male! Bisogna lodare Minerva perché stanno rilanciando questo filone, che abbiamo inventato noi. Negli Anni Settanta i nostri film spaventavano, Milano Calibro 9 per Tarantino è il poliziottesco per eccellenza. È un filone narrativo fondamentale, perché insegna tanto, nella caratterizzazione e nella stesura. Il punto di svolta credo sia stato Lo Chiamavan Jeeg Robot, quel film è stato uno spartiacque».

Emanuele, i tuoi idoli musicali?

«Sono pieno! I classici, da Hans Zimmer a Desplat a John Williams, o Daniel Pemberton… ma io vengo dai Nirvana, dai Foo Fighters e quando me lo concedono cerco di portarli nelle mie opere. Oggi, morto Jóhann Jóhannsson, penso che Junkie XL, sia tra i top. Sperimenta e rompe le regole. Ma anche in Italia abbiamo degli eccezionali come Michele Braga. Se ne dovessi dire solo uno direi Dario Marianelli. Pochi come lui sanno agganciare la musica alle immagini. Finalmente anche per noi le cose stanno cambiando. Basti pensare che la colonna sonora di Bastardi a Mano Armata è fuori grazie a Universal e Woodworm, quelli di Motta e Rancore. Questa cosa mi ha fatto ritrovare fiducia, anche una soundtrack è musica, una musica che racconta una storia».

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