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Da Alberto Sordi a Massimo Dapporto: la seconda vita di Un borghese piccolo piccolo

La pièce tratta dal libro di Cerami rinasce a teatro. «Perché? È più attuale che mai», spiega l’attore

Massimo Dapporto in una scena della pièce Un borghese piccolo piccolo.

MILANO – «Sorpreso? Sì, soprattutto all’inizio di quest’avventura. Non me la aspettavo proprio una tale reazione da parte del pubblico». Il giorno dopo il successo della prima milanese al teatro Parenti, Massimo Dapporto fa il bilancio del suo viaggio dentro Un borghese piccolo piccolo – pièce tratta dal libro di Vincenzo Cerami, poi diventato cinema con Alberto Sordi – che l’attore sta portando in giro dall’anno scorso e che a Milano rimarrà in scena fino al 20 gennaio. «Sì, stiamo riscuotendo un consenso unanime, un po’ ovunque, e sono rimasto sorpreso da subito: già alla prima che facemmo l’estate scorsa al festival di Borgio Verezzi la gente si alzava in piedi, entusiasta, alla fine di ogni spettacolo». Una scommessa diventata realtà con un testo di più di quarant’anni fa improvvisamente riscoperto attuale. Ma perché?

Dapporto in scena con Susanna Marcomeni e Roberto D’Alessandro. Foto di Claudia Pajewski

Facciamo un passo indietro e (ri)cominciamo dall’inizio, perché la storia di Un borghese piccolo piccolo arriva da lontano, comincia dal libro di Cerami, pubblicato nel 1976 da Mondadori, e poi continua sulla Croisette, a Cannes, l’anno dopo, dove Mario Monicelli e Sordi si presentano in concorso con la storia tragicomica di Giovanni Vivaldi, un padre che ha un solo grande sogno: sistemare il figlio Mario, ai tempi interpretato da Vincenzo Crocitti e qui da Roberto D’Alessandro. «Ma rispetto al film», precisa Dapporto, «la versione diretta da Fabrizio Coniglio che mettiamo in scena è molto diversa. Il nostro riferimento principale è stato il libro di Cerami, è quello il testo. Lo spettacolo dura un’ora e venti, non ha interruzioni e il pubblico una volta dentro ci rimane attaccato dall’inizio alla fine».

Alberto Sordi con Vincenzo Crocitti e Mario Monicelli sul set. Era il 1977.

Quando il film uscì in sala fu uno choc: il pubblico aveva visto Sordi pochi mesi prima ne Il comune senso del pudore e si ritrovò davanti un personaggio totalmente diverso dal geniale cialtrone amato per anni. «Lo ricordo bene», prosegue Dapporto, «avevo trentadue anni all’epoca e andai a vedere il film subito, non pensando ovviamente che a distanza di quarant’anni avrei poi interpretato il ruolo di Sordi. Prima di cominciare a lavorare sulla pièce mi sono rivisto il film per capire se c’era qualcosa che dovevo evitare una volta in scena. Sordi? Lo conoscevo, fin da bambino, grazie a mio padre (Sordi e Carlo Dapporto iniziarono a recitare assieme negli anni Quaranta, nda). Rispetto al film però abbiamo cercato di rendere meno simpatico il personaggio del padre».  

Dapporto in un’altra scena. Foto di Claudia Pajewski.

La domanda – soprattutto quattro decenni dopo – è inevitabile: ma quanto è attuale oggi il testo di Un borghese piccolo piccolo? «Tanto. Troppo», riflette Dapporto, «talmente attuale che ad un certo punto ci si chiede com’è possibile che noi italiani non siamo riusciti a cambiare di una virgola. Anzi, siamo diventati professionisti di tutte le cose negative. Chissà, forse allora eravamo più ingenui». Classe 1945, tanta tv e una lunga serie di grandi film al cinema (da Soldati a Ultimo respiro, tra Ettore Scola, Maselli e Lizzani) Dapporto con il teatro ha da sempre un rapporto profondo, quasi fisico: «Ma perché il teatro ti regala piacere immediato, una tensione che il cinema non può darti. Non puoi essere teso davanti alla macchina da presa, il regista se ne accorge e ti fa ricominciare. In teatro dai l’anima e quando arrivi ai ringraziamenti finali è sempre un godimento».

Un altro momento di Un borghese piccolo piccolo.

E la televisione? «La televisione, più del cinema, ti rende popolare, e se arrivi a fare un certo numero di passaggi poi hai vita più facile, è inevitabile. Oggi ogni tanto incontro qualcuno che mi chiede come mai non lavoro più, e allora lo invito a teatro. La base per un attore è, e sarà sempre, il teatro. Come ai ballerini chiedono le basi della danza classica prima di continuare con quella moderna, agli attori dovrebbero chiedere il teatro, sempre. Il cinema? Ci vado spesso, mi piacciono le storie italiane e ci sono molti registi, come Garrone, con cui mi piacerebbe lavorare. Speriamo vengano a vedermi a teatro…». 

Con Sergio Castellitto in Tre colonne in cronaca. Era il 1990.

Ma Dapporto un riferimento, un mito, lo ha? «Il mio mito è De Niro. Lo seguo da sempre, non mi perdevo mai un film con lui, tanto che finiva anche per condizionarmi. Ricordo che quando uscii dal cinema dopo aver visto Taxi Driver mi muovevo addirittura come lui. Un mostro di bravura. In Italia? Ho avuto il privilegio di lavorare con Gian Maria Volonté in due film (Tre colonne in cronaca e Una storia semplice, nda), un uomo di poche parole, ma non dimenticherò delle parole di apprezzamento nei miei confronti che conservo tra i ricordi più cari. E sul set di Una storia semplice io, Ghini, Fantastichini e Ricky Tognazzi ogni mattina andavamo a prenderlo alla roulotte per portarlo sul set: gli piaceva fare la scena del vecchio attore, ma non lo era affatto».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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