ROMA – Un consiglio non richiesto? Bene. Su Netflix è arrivata la prima stagione di Blue Eye Samurai, serie animata scritta da Michael Green, autore DC Comics e sceneggiatore di lungo corso (da Assassinio a Venezia a Blade Runner 2049) insieme ad Amber Noizumi e prodotta dalla francese Blue Spirit Productions. Siamo nel Giappone del XVII secolo, un luogo completamente chiuso al mondo esterno, dove una politica di isolamento assoluto non consente la presenza di stranieri, solo quattro trafficanti occidentali di armi e schiavi si nascondono per portare avanti i loro traffici. Uno di questi è responsabile di aver messo al mondo un(a) mezzosangue dagli occhi azzurri. Un mostro, un reietto marchiato dallo stigma dell’impurità razziale.
La trama di questi otto episodi del primo ciclo di Blue Eye Samurai si sviluppa intorno alla formazione di abile samurai di Mizu e al viaggio per assecondare la sua implacabile sete di vendetta contro il primo dei quattro possibili padri, ma la sua vicenda personale si incrocerà a quella dello Shogun. Se la trama parte da presupposti tutto sommato prevedibili, a stupire è invece il modo articolato in cui si sviluppa, la complessità dei personaggi e la tecnica di animazione. La ricostruzione storica del Giappone medievale è minuziosa, riempie gli occhi di meraviglia con i dettagli della vita quotidiana dei personaggi che fanno da sfondo, con le architetture urbane e gli interni dei palazzi di Edo, oggi Tokyo, e alle ambientazioni rurali.
L’animazione grafica passa dal 2D al 3D offrendo un impatto visivo immediato e sorprendente: si ha subito la sensazione di stare vedendo qualcosa di radicalmente nuovo. Il modo in cui le personalità dei personaggi si sviluppano prendendo percorsi inattesi nel corso degli episodi è il risultato di una qualità della scrittura da fare invidia a tante produzioni più importanti e costose, non solo di animazione. Poi certamente non mancano combattimenti, spade, sangue a profusione in stile Tarantino e una spruzzata di sesso, ma finiscono per essere quasi di contorno, senza scadere mai (ad accezione forse di un episodio) nell’effetto videogame.
Una produzione ambiziosa, che nella versione originale vede anche Kenneth Branagh nel ruolo del cattivo Fowler, un prodotto per adulti di alto livello, con un percorso narrativo sorprendentemente articolato e una qualità visiva notevole, passato un po’ sotto traccia in Italia ma assolutamente da vedere. E poi non dite che non ve lo avevamo detto…
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