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Bérénice Bejo: «La Quietud, il mio ritorno a casa grazie a Pablo Trapero»

L’attrice racconta la sua Argentina, le manie di controllo e le battaglie ancora da vincere del #MeToo

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Pensiamo a quei ruoli che fanno tremare le ginocchia, con il cuore che arriva fino in gola. E, per Bérénice Bejo, la sua interpretazione in La Quietud, diretto da Pablo Trapero, rientra in questa categorie di ruoli. Il film, presentato Fuori Concorso a #Venezia75, è uno spaccato familiare dal forte impatto motivo, e rappresenta una sfida importante per l’attrice. Perché? La ragione è personale: grazie a Trapero, per Bérénice Bejo, fa ritorno “a casa”, in Argentina, dopo il trasferimento in Francia. Eclettica e sorprendente, ha collezionato parti complesse, non solo diretta dal marito Michel Hazanavicius, ma anche da alcuni dei cineasti contemporanei, da Asghar Farhadi a Marco Bellocchi. E ora torna in Laguna con questa storia al femminile, dove due sorelle si ritrovano a casa per accudire il padre malato, e devono ricostruire i pezzi di un rapporto ormai inesistente, riconciliarsi del passato e accettarsi a vicenda.

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Bérénice Bejo. What else?

LA CARRIERA «Sono nata in Argentina ma ho collezionato collaborazioni con registi di ogni nazionalità, dagli italiani agli israeliani. Ma questa è la prima volta che torno nel mio paese d’origine. Lo devo a Pablo Trapero, l’idea è venuta a lui, quando un anno fa mi ha telefonato per propormi il ruolo. Ha detto che si sarebbe trattato di un’idea un po’ folle e io non l’ho neppure lasciato finire che già avevo accettato. Se un artista del suo calibro mi sceglie posso solo sentirmi onorata».

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Bérénice, durante la conferenza.

LA GENESI «L’incontro con lui? Mi trovavo su un set a Parigi e ci siamo incontrati una decina di giorni per lavorare al testo. In quel momento ho iniziato a pensare a cosa significasse, nel profondo, questo progetto. D’altronde i miei genitori hanno lasciato l’Argentina quando io ero ancora piccola ma non mi hanno mai parlato della dittatura. Per me è strano recitare in spagnolo perché non ci sono affatto abituata, quindi mi sono sforzata parecchio per essere all’altezza».

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Bérénice Bejo in La Quietude.

IL CONTROLLO «Mi mettono a disagio situazioni in cui non ho tutto sotto controllo, avrei dovuto prenderla con maggiore leggerezza e lasciarmi andare, invece mi sono fatta invadere da mille insicurezze. All’inizio ne La Quietud, infatti, mi sono sentita l’attrice peggiore del mondo. Mi sentivo persa, il che mi è stato, alla fine, utile per entrare meglio in connessione con il personaggio».

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Una scena, tutta al femminile, di La Quietude.

DONNE E CINEMA «Il cinema al femminile? Le donne hanno sempre avuto il potere, solo che non l’hanno mai usato, sembra quasi un segreto che è giunto il tempo di svelare. Sono forti da tempi immemori, ma al tempo stesso venivano sminuite. E, soprattutto in questo momento storico, quello che cerco di fare è trovare questo coraggio dentro di me, sapendo di vivere in un mondo dominato da maschi. Ecco perché dobbiamo lottare».

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Bérénice Bejo, Pablo Trapero e Martina Gusman.

I MIEI NO «Ogni volta che mi sento sminuita e umiliata dico no, in modo da evitare il disagio. Voglio essere in grado di guardarmi allo specchio e abbracciare quella che sono. Ecco perché i ruoli che voglio interpretare sono legati a figure femminili forti, volitive e capaci di dire sempre quello che pensano».

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Una raggiante Bérénice Bejo.

IL #MeToo «Per fortuna non ho mai subito alcun problema al lavoro, ma anche ai miei figli insegno che il modo per cambiare le cose dipende da noi. Abbiamo il potere di combattere, ma insieme, non uomini contro donne. Ad essere onesta, però, c’è ancora tanta strada da percorrere».

Cosa succede al Lido? Scopritelo con noi nel nostro speciale #Venezia75

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