MILANO – Ma chi è Ari? Un insegnante stagista in una scuola elementare, che durante una giornata del suo regolare tirocinio sviene davanti ai bambini della classe. Un evento che lo costringe a fermarsi e ad affrontare finalmente un passato mai risolto: il legame con il padre, il ricordo della madre e le amicizie d’infanzia, ora disperse tra conformismo e marginalità. Mentre riemergono domande profonde sulla sua identità e sul futuro, un segreto affiora, segnando l’inizio di un cambiamento. Passato alla Berlinale, visto al Bellaria Film Festival e prossimamente in sala con Wanted Cinema, Ari è un ritratto intimo e delicato di una generazione in bilico tra crisi economica, trasformazioni sociali e ridefinizione del maschile.

Non serve necessariamente uno sguardo di genere definito per raccontare una storia e possiamo scommettere da subito che Ari saprà toccare le corde emotive di molti giovani. Basta una scrittura capace di essere al tempo stesso tenera, fastidiosa e struggente, nella misura in cui non fa sconti a nessuna relazione, né alle persone né alla realtà che abitano. Ari racconta un tipo di vicenda che potrebbe non colpire tutti allo stesso modo, oppure arrivare esattamente nel momento giusto. Ma è innegabile che il film di Léonor Serraille riesca a comunicare ed emozionare con una forza irruente e, al contempo, una delicatezza disarmante proprio come la vita, in costante movimento tra questi due estremi.

Un coming of age che esplora la condizione dei giovani adulti nel delicato passaggio a una nuova fase della vita – oggi più complessa che mai – e racconta la paura di una generazione smarrita, terrorizzata dall’idea di non essere all’altezza e di non riuscire a stare al passo con i successi degli altri. I personaggi che Ari incontra lungo il suo cammino ci ricordano che, per quanto si possa cambiare (o fingere di farlo), ognuno porta con sé un intreccio irriducibile di forza e fragilità, a prescindere dall’immagine che sceglie di offrire al mondo. La fragilità di Ari e il punto di rottura a cui è giunto alimentano questi suoi incontri e le conversazioni che ne scaturiscono, che nel contesto del film non appaiono mai artificiose o costruite.

Al contrario, sono sempre dirette, credibili, crude, autentiche e naturali. Proprio come accade nella vita di tutti i giorni. Andranic Manet, nel ruolo del protagonista, restituisce una delicatezza rara, una tenerezza spontanea e una vulnerabilità tangibile, mantenendo un equilibrio perfetto che lo rende autentico, profondamente umano e mai ridotto a semplice “personaggio”. Ari è il ritratto dolceamaro degli smarriti. Simbolo e guida in un percorso fatto di nostalgia, a tratti doloroso, a tratti luminoso. Più di un film: è la vita che si muove tra la riscoperta e la ricostruzione di sé…
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- VIDEO | Qui il trailer originale di Ari:
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