MILANO – Due registi, Quentin Tarantino e Martin Scorsese, due film già destinati a diventare due classici, C’era una volta …a Hollywood e The Irishman, hanno senza dubbio segnato questo anno cinematografico che sta per chiudersi. Due pellicole nostalgiche ed epiche, due riflessioni sul tempo e sulle conseguenze di una scelta capaci di riunire sul set il meglio della vecchia e della Nuova Hollywood, con la coppia Pacino & De Niro da un lato e DiCaprio & Pitt dall’altra. Pesi massimi, insomma, eppure entrambi i film, per motivi differenti, sono stati al centro di molte (troppe?) critiche.

Andiamo con ordine: cosa li accomuna? Il giudizio negativo di parte di stampa e pubblico circa la rappresentazione dei personaggi femminili. O meglio, la mancanza – secondo i detrattori – di una loro adeguata presenza, temporale e verbale, sul grande schermo. Insomma, personaggi di contorno, nulla più. La Sharon Tate di Margot Robbie – oggetto di polemica addirittura a partire dalla prima conferenza stampa a Cannes – non avrebbe infatti goduto di sufficienti battute esattamebnte come la Peggy Sheeran interpretata da Anna Paquin che in The Irishman è la versione adulta della figlia del Frank Sheeran di Robert De Niro.

Il Guardian arriva addirittura a parlare di “trend problematico ad Hollywood”, mentre il Daily Mail ha fatto qualche – breve – conto ed è arrivato alla conclusione che l’ex protagonista di True Blood nei dieci minuti in cui compare in scena, a fronte dei duecentonove di durata del film, proferisce solo sei parole. Due esempi di maschilismo cinematografico, quindi? No. Niente di più lontano dalla verità. E la motivazione è molto semplice: non ce ne vogliano gli indignati da social (ormai un hobby) ma i personaggi di Margot Robbie e Anna Paquin rappresentano il cuore di entrambe le pellicole.

Basterebbe ripensare alla dolcezza con cui Tarantino filma la Sharon Tate della Robbie avvolta dal buio di un cinema di Los Angeles mentre si rivede, tra il nervoso e il divertito, in Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm. Oppure a come Scorsese – che dopo la Marvel ha una questione ogni settimana – affidi proprio alla Paquin e a quei dieci minuti di sguardi e poche parole tutto il significato profondo del suo film. Gli occhi di una figlia che parlano e giudicano. Gli occhi di una figlia che non ha bisogno di dire nulla ad un padre pieno di colpe.
Nope, nobody was doing any “ordering”. I auditioned for the privilege of joining the incredible cast of .@TheIrishmanFilm and I’m incredibly proud to get to be a part of this film. https://t.co/yx54jE4ugy
— Anna Paquin (@AnnaPaquin) November 9, 2019
Non a caso, una scelta difesa recentemente sia da Scorsese che dall’attrice. «Ho deciso che non doveva dire nulla», ha sottolineato il regista al DGA Theatre di New York durante un incontro con Spike Lee, «e Anna è stata fantastica. Ha una sola battuta nel film perché c’è qualcosa di cui non puoi parlare. Lei sa chi è lui. E lui sa che che lei lo sa…».

Una polemica alimentata ad arte sui social che ha visto poi la stessa Paquin dire la sua via Twitter in un post cui ha risposto anche alla teoria – assurda – secondo cui Scorsese le avrebbe ordinato di prendere parte alla pellicola. «No, nessuno stava eseguendo alcun “ordine”. Ho fatto il provino per il privilegio di unirmi all’incredibile cast di The Irishman e sono incredibilmente orgogliosa di far parte di questo film». Caso chiuso. In attesa della prossima (inutile) polemica.
- Qui potete ascoltare la conversazione tra Martin Scorsese e Spike Lee:
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