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Dal Giappone a Hollywood: Alita e la vera storia dell’Angelo della Battaglia

Dal manga di Yukito Kishiro al film di Robert Rodriguez, le origini di una (nuova) eroina cinematografica

Alita

ROMA – Yukito Kishiro l’ha disegnata, James Cameron l’ha resa reale. Una realtà cinematografica, si intende. Eppure, quegli occhi grandi (e digitali), da eroina coraggiosa e forte, finiscono per catturare l’attenzione anche dello spettatore più abituato all’universo sci-fi e steampunk tipico di una certa letteratura e di un certo cinema. Così, Alita, guerriera e donna, sexy e tenera, dal manga omonimo uscito nel 1990, arriva in sala, dopo una produzione durata quasi vent’anni.

Alita Battle Angel.

Perché, l’idea di portare il personaggio nipponico sul grande schermo, era già calda nel 2000. Ma, la gestazione di Avatar era troppo impegnativa anche per uno come Cameron. Annessi ritardi, slittamenti, lo script che scivolava in fondo al cassetto. Poi, la svolta: James Rodriguez alla regia, Cameron alla produzione e alla sceneggiatura, Rosa Salazar, perfetta per il ruolo, nei panni della cyborg. Finalmente, l’Angelo della Battaglia in carne e ossa (anzi, in metallo e antimateria).

Alita.

Ma chi è, davvero, Alita? Disegnata da Kishiro, è una guerriera dal passato nebuloso, trovata – e riparata – dal Dr. Ido (Christoph Waltz, nel film), dandole il nome della sua defunta figlia. Il titolo originale degli albi, pubblicati dal 1990 al 1995, è Gunnm, così come nella versione originale il nome di Alita è Gally. La prima apparizione, arriva sulle pagine della rivista Business Jump, di genere seinen. Categoria di magazine rivolata ai lettori dai 18 in su.

James Cameron e Robert Rodriguez sul set di Alita.

Del resto, i temi trattati in Battle Angel Alita, sono quelli da opera oscura e violenta, trattando la ribellione come causa sociale e politica verso l’oppressione di un mondo suddiviso in strati. Dove i ricchi restano ricchi, e i poveri restano poveri. Pur mantenendo uno stile e un approccio tipicamente nipponico, il futuro distopico immaginato da Kishiro è ambientato invece un’immaginaria città degli USA, in cui l’unico ”svago” per il popolo, è lo sport estremo del Motorball, combattuto da esseri metà uomini metà macchine.

Un po’ skate e un po’ Rollerball – ed è curioso come i rimandi al film Anni Settanta con James Caan non si fermano al brutale anello, a cominciare dal concetto di anarchia applicata un governo dittatoriale – lo sport di Alita funziona da raccordo nell’anime – e nel film di Rodriguez – come occasione per sovvertire le dinamiche della storia. Dalla città-discarica alla metropoli sospesa di Salem, dove solo pochi eletti possono accedervi. E la figura di Alita, tosta e meccanica, certo, ma anche umana e femminile, al tempo di una sacrosanta parità generi, si ritaglia un posto nella schiera di quei personaggi capaci di regalare qualcosa al grande pubblico.

Rosa Salazar è Alita.

Qualcosa da afferrare al volo, però. Nel bel mezzo di un capitolo iniziale (i sequel dovrebbero essere scontati), tra Christoph Waltz versione Geppetto post-apocalitto e una glaciale Jennifer Connelly, arriva una sorta di curiosità tipica di quelle storie appena iniziate che non conosciamo bene, ma che vorremmo continuare ad ascoltare. Storie dai colori lontani ma dai messaggi universali. Così come nei volumi di Kishiro – dopo la conclusione nel 1995, il seguito è partito nel 2001 con Alita Last Order, continuando poi con Alita: Mars Chronicle, ancora in stampa – il fattore sogno è fortissimo. Un’altra vita, un’altro passato e la domanda cardine dell’evoluzione: chi siamo, in fondo? Non c’è risposta, ovvio, ma dai conturbanti anime giapponesi alle luci di Hollywood, la distanza non è mai stata così vicina.

Qui potete vedere il trailer di Alita – Angelo della Battaglia:

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