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Alì | Will Smith, Muhammad Ali e la storia vera del più grande pugile della storia

Michael Mann racconta la vita fuori e dentro il ring della leggenda della boxe, tra sport e ideali

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MILANO – Non servirebbe nemmeno spiegare chi era, tanto il suo nome è diventato leggenda. La vita di Cassius Clay è stata oggetto di molte trasposizioni cinematografiche, tra cui Alì, diretto da Michael Mann e con una delle interpretazioni più riuscite di Will Smith. Il film non copre tutta la vita del celebre pugile, solo i dieci anni più turbolenti che videro un aperto scontro con la politica e con i media. Quattro anni dopo la vittoria della medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma nel 1960, in un incontro con Sonny Liston, Cassius Clay diventa campione del mondo dei pesi massimi. A quel punto, decide di convertirsi alla religione musulmana, abbandonare il nome da schiavo Clay e assumere invece quello di Muhammad Alì.

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Una scena di Alì

Nel pieno degli anni delle tensioni razziali e della guerra in Vietnam, la sua storia si trasforma a poco a poco in uno strumento sfruttato dal dibattito mediatico. Aveva stretto i rapporti con Malcolm X, il leader nero del Black Power assassinato nel 1965, grazie al quale si era avvicinato alla lotta per rivendicare i diritti dei neri. Per legge poi, deve adempiere al servizio militare, ma la guerra va contro la sua religione e i suoi ideali. Così si rifiuta di partire per il Vietnam e viene arrestato, condannato a cinque anni di carcere con una multa di diecimila dollari e – cosa più importante – gli viene tolta la licenza di pugile. Perde così il titolo di campione del mondo, viene escluso dal tempio e sospeso dalla pratica musulmana, ragion per cui fa appello alla Corte Suprema.

Muhammad Ali e Malcolm X

Nel frattempo, il titolo era passato a George Foreman, e dopo alcuni combattimenti senza licenza ad Atlanta, Alì venne dichiarato innocente: poteva finalmente tornare a rincorrere il titolo mondiale. Venne così organizzato un incontro tra Foreman e Alì nel 1974 a Kinshasa, nello Zaire in Africa. Lo Zaire attraversava un momento difficile tra un dittatore megalomane e l’occupazione belga, e quell’incontro aveva tutta l’aria di essere un momento epocale. E così è stato. Quello che è poi passato alla storia come Rumble in the Jungle, la rissa nella giungla, non è solo stato uno dei più grandi combattimenti di sempre ma aveva anche un valore fortemente simbolico, visto che a concorrere per il titolo erano due neri e l’orgoglio della nazione si faceva sentire.

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Muhammad Ali e Will Smith

Le tensioni non mancarono, soprattutto perché l’Africa aveva già scelto il suo campione, ed era Muhammad Alì. Già amato dal popolo dello Zaire, era considerato un eroe con un forte senso di appartenenza alle sue origini. Foreman era il campione in carica ma era considerato un patriota americano e giocò qualche punto a suo sfavore il fatto di essere sceso dall’aereo portando al guinzaglio un pastore tedesco, il cane che i belgi usavano nelle loro rappresaglie contro i neri durante l’occupazione. Una sfida epica si svolse tra i due nello stadio Tata Raphael, mentre il pubblico tutto intorno gridava «Alì bomaye!» («Alì uccidilo»). Come è noto, Alì vinse, tornando a essere il campione e il re indiscusso. Un uomo che è stato capace di prendere il controllo e rivendicare la sua individualità contro coloro che volevano invece sfruttarlo. Fuori e dentro il ring.

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