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Essere Alex Gibney | Dall’Afghanistan a Spielberg: se il giornalismo diventa cinema

Lance Armstrong, l’Ucraina, Scientology, la Enron: viaggio nella testa del regista americano

Da Mosca a Manhattan: Alex Gibney e le sue mille missioni.
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VENEZIA – No, al Lido non sarà atteso come i grandi registi o i divi da red carpet, anzi, potrà tranquillamente camminare senza essere fermato, eppure se c’è un uomo che più di altri merita l’appellativo di autore è proprio lui: Alex Gibney. Ha vinto un Oscar (per Taxi To The Dark Side), un Emmy (per Mea Maxima Culpa), ha indagato sul caso Enron e sul mito generato da Steve Jobs (L’uomo nella macchina), scoperchiato le bugie di Lance Armstrong nonché fatto infuriare Scientology (con Going Clear) che gli ha scatenato contro una crociata con tanto di sito dedicato (Alex Gibney Propaganda). Insomma, un uomo per tutte le stagioni, capace di non cedere mai di un passo e continuare nella sua missione totale di documentarista, in bilico tra giornalismo e cinema, reale e intrattenimento.

22 aprile 2005, Houston, in Texas: la prima di Enron.

Ma chi è davvero Philip Alexander Gibney? Nato a New York nel 1953, non a caso figlio di un giornalista (Frank Gibney, corrispondente da Tokyo per testate come Time, Newsweek e Life), Gibney ha cominciato la sua ascesa gradualmente, negli anni Novanta, prima con prodotti televisivi, poi con i documentari. Il primo? Nel 2001: Jimi Hendrix and the Blues, sulla relazione tra il chitarrista e il blues. Poi, la svolta, quattro anni dopo. Enron: L’economia della truffa arriva proprio nel momento in cui il successo di Michael Moore ha portato finalmente fuori dal ghetto i documentari e i documentaristi. Da quel momento cambia tutto. E arriva la prima nomination all’Oscar.

24 febbraio 2008: con la produttrice Eva Orner e l’Oscar per Taxi To The Dark Side.

In realtà Enron non è un successo, anzi, ma Gibney diventa il nome nuovo da seguire e quando nel 2007 arriva Taxi To The Dark Side la sorpresa è relativa e l’Oscar è assicurato. Ispirato a un articolo del New York Times, il documentario (lo potete recuperare su CHILI qui) è una sconvolgente indagine sulle violenze americane in Afghanistan e sulla morte di un uomo qualunque, Dilawar, un tassista innocente che non tornerà più a casa. Il titolo cita una frase di Dick Cheney, uno dei tanti uomini di potere che Gibney non ha paura di attaccare: «Cheney è stato il peggiore. Era davvero convinto che la tortura fosse un male necessario per proteggere gli americani». 

Le riprese di The Armstrong Lie. Siamo nel 2013.

E poi Steve Jobs, Julian Assange, perfino il ciclista Lance Armstrong e le sue bugie, ma non solo: Gibney non indaga solo il marcio e gli abusi di potere, ma anche le passioni che lo tengono in vita. E allora eccolo coinvolgere Johnny Depp in un documentario su Hunter Thompson (Gonzo), riscoprire Lord Buckley, celebrare James Brown e cercare di analizzare la leggenda Sinatra nel monumentale All or Nothing at All. Poi, cercando nuovi centri di potere su cui indagare decide di puntare alto, altissimo: la Chiesa e Scientology. Nel 2012 attacca frontalmente il Vaticano con Mea Maxima Culpa: Silenzio nella casa di Dio, nel 2015 invece ecco Going Clear: Scientology e la prigione della fede.

Mikhail Khodorkovsky a Mosca in una scena di Citizen K.

Alla Mostra Gibney porta Citizen K, centrato su Mikhail Khodorkovsky, uno degli uomini più ricchi della Russia e da quasi vent’anni nemico giurato di Putin. Perché? «In un tempo in cui il mondo sembra terrorizzato dal ruolo che ha la Russia», ha spiegato lui, «mi sono avventurato in un ritratto di Khodorkovsky. In più di venti ore di interviste a Londra, abbiamo parlato della sua vita, della sua giovinezza comunista in Unione Sovietica, del periodo da oligarca e della sua trasformazione in dissidente politico mentre scontava una pena di dieci anni in una prigione in Siberia. E poi sono andato anche in Russia: volevo vedere il Paese – prendendo in prestito una frase di Peter Pomerantsev – in cui nulla è vero e tutto è possibile».

Ma Gibney è già oltre K e la Russia: ha già presentato in America The Inventor: Out for Blood in Silicon Valley, sta lavorando a un film sull’Arabia Saudita (!) e – non bastasse – ha appena concluso un documentario in sei parti che ha prodotto addirittura con Steven Spielberg e la sua Amblin, un progetto ambizioso che andrà in onda il 13 ottobre su Discovery negli Stati Uniti. Il titolo? Why We Hate, un viaggio alle origini dell’odio razziale dell’America e non solo, dal Ku Klux Klan fino a Charlottesville, ma anche dall’Olocausto alle Torri Gemelle. L’ennesima missione del soldato Gibney, instancabile cercatore di verità.

Why We Hate | Discovery

The 6-part special #WhyWeHate premieres Sunday Oct 13 at 10p on Discovery and Discovery GO.

Gepostet von Discovery am Montag, 26. August 2019

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