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Al Dio Ignoto | Il dolore della vita e il momento prima del grande salto

Morte ed elaborazione del lutto in un film emozionante. In streaming in esclusiva su CHILI

Al Dio Ignoto
Un dettaglio del poster di Al Dio Ignoto

ROMA –  La paura della morte è una delle esperienze più umane che esistano. Nessuno vorrebbe pensarci, nessuno vorrebbe trovarvisi faccia a faccia, ma arrivano dei momenti nella vita di molte persone in cui il confronto con ciò che ci aspetta diventa una costante quotidiana. Lavora su questo, e su molti altri livelli, Al Dio ignoto, diretto da Rodolfo Bisatti con Paolo Bonacelli e Laura Pellicciari, disponibile in esclusiva su CHILI. Ma di cosa parla Al dio ignoto? Di una famiglia, quella di Lucia, che si è sfaldata dopo la morte della figlia Anna, malata di leucemia. Il padre se n’è andato, il figlio tenta di metabolizzare la perdita dandosi agli sport estremi, mentre la donna non riesce ad accettare la scomparsa della piccola.

Al Dio ignoto
Laura Pellicciari in una scena del film

Per questo motivo la ritroviamo volontaria in una clinica per malati terminali di Merano (la Casa di Cura Martinsbrunn, che esiste veramente). La rappresentazione della morte è cruda e asciutta. Il bianco asettico degli spazi fa da contraltare all’accondiscendenza con cui Lucia e i suoi colleghi trattano i degenti. Distacco, certo, ma anche empatia. Un sentimento che mescola i sensi di colpa e la disperazione per la morte di una figlia, che si scontra con una descrizione quasi medica, tanto è dettagliata, delle fasi della malattia e delle cure.

Al Dio ignoto
Paolo Bonacelli è Giulio

Al Dio ignoto ha molti meriti, ma soprattutto uno: (ri)portare alla luce il dramma dell’elaborazione del lutto in una società che ci ha abituati a guardare sempre e solo al domani, lasciando fuori da ogni progetto la sofferenza e la morte, il passato e chi non c’è più. E questo lo sa bene uno dei malati, Giulio (un grande Bonacelli), un professore di filosofia morale, quando afferma con convinzione che il vero problema non sono i morti, ma i vivi.

Al Dio ignoto
Francesco Cerutti è Gabriel

Al Dio ignoto mostra anche cosa succede nella malattia e cosa succede attorno alla malattia. Il gioco beffardo di un tumore che se ne va e ritorna quindici anni dopo, la dolcezza di una donna che non si lascia abbattere, la paura di un uomo ora che si avvicina “il grande salto”. Coloro che vi stanno intorno camminano in punta di piedi e parlano sottovoce per non disturbare la sofferenza, mentre quelle anime senza più speranza, ma più vive che mai, si fanno portatrici di insegnamenti preziosi.

I due protagonisti di Al Dio ignoto

Bisatti non si accanisce sullo spettatore, sceglie la delicatezza e la sensibilità per parlare di morte e di vita. Una dialettica che sta alla base dell’esistenza, discussa più volte a livello filosofico – il titolo, Al Dio ignoto, fa diretto riferimento alla poesia omonima di Nietzsche – qui riportata però su un piano concreto. È la verità, quindi, la reale alternativa alla morte, ciò che rende sopportabile la vita.

Uno dei paesaggi di Al Dio ignoto

Un’opera di grande valore che sfida apertamente il Cupo Mietitore accettando l’esistenza dell’ignoto e rivolgendosi anche a noi, così ancorati a questa parte dell’esistenza e così spaventati nel pensare al dopo. Al Dio ignoto è di una semplicità quasi disarmante che si esprime dai dialoghi, misurati e mai eccessivi ma carichi di un’intensità tale da far credere che chi parla possieda tutte le risposte. Allora anche noi possiamo imparare da queste storie, abituandoci a pensare alla morte per ragionare sulla vita, ricordandoci che, come ha capito il professor Giulio, «l’ultimo giorno è sempre e soltanto oggi».

  • Volete vedere Al Dio ignoto? Lo trovate su CHILI

VIDEO | La nostra intervista a Rodolfo Bisatti

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