ROMA – New York, 1961. Sullo sfondo di un tumultuoso sconvolgimento culturale che più tardi chiameremo Controcultura, un enigmatico diciannovenne del Minnesota di nome Robert Allen Zimmerman – meglio noto come Bob Dylan (Timothée Chalamet) – arriva con la sua chitarra e il suo talento rivoluzionario, destinato a cambiare per sempre il corso della musica americana. Durante la sua ascesa fulminea stringe relazioni con icone del Greenwich Village come Pete Seeger (Edward Norton), Joan Baez (Monica Barbaro) e Johnny Cash (Boyd Holbrook), fino ad incontrare il suo idolo di sempre, il leggendario Woody Guthrie (Scoot McNairy) e poi ad arrivare al 1965, quando il 25 luglio, al Newport Folk Festival, una sua esibizione riecheggerà nelle onde radio di tutto il mondo. Tratto da Il giorno che Bob Dylan prese la chitarra elettrica di Elijah Wald (edito da Vallardi) ecco A Complete Unknown, il nuovo atteso film di James Mangold.

Di cui iniziamo a parlare a partire dalla curiosa scelta di parole del titolo. Perché al pari dal gemellare-ma-differente Quando l’amore brucia l’anima – Walk the Line del 2005 incentrato sulla musica, l’amore e i tormenti di Johnny Cash (un pazzesco Joaquin Phoenix) – e sempre a firma Mangold – anche A Complete Unknown è un titolo tutt’altro che casuale. Si tratta, infatti, di una frase contenuta nel ritornello di Like a Rolling Stone («How does it feel, how does it feel?/To be without a home/Like a complete unknown, like a rolling stone»), brano del 1965 contenuto in quel Highway 61 Revisited cuore della trilogia elettrica (Bringing It All Back Home e Blonde On Blonde prima e dopo), caposaldo e primo spartiacque artistico della produzione musicale di Dylan e che della narrazione è un po’ la chiave di volta.

In quel continuo susseguirsi di sensazioni, invettive e immagine evocative del folk americano musicate in chiave rock, il poeta Dylan si libera dello status di profeta e nuovo cantore folk che l’industria e gli ambienti musicali gli avevano riconosciuto – se non perfino affibbiato e costruito addosso – per poter finalmente seguire la propria strada ed essere sincero con se stesso: musica senza genere né etichette che scorre fluida e potente. Non a caso eseguita proprio a Newport, ovvero il cuore della cultura folk americana dove Dylan presentò in anteprima i brani di Highway 61 Revisited, e a cui Mangold affida il climax del racconto. Perché quel momento di A Complete Unknown va a sublimare la vittoria degli stimoli creativi contro le aspettative del pubblico permettendo alla narrazione di trascendere il genere biopic per elevarsi ad appassionata e universale testimonianza di libertà.

Un biopic relativamente canonico tra l’altro, dallo sviluppo lineare e semplice, senza fronzoli e scorciatoie, caratterizzato di una coralità dalla gestione armonica ed emotiva nel modo in cui Mangold giostra le sue coscienze del racconto. In particolare nel segmento narrativo del Greenwich Village del 1961 e nel modo in cui le anime filmiche di Guthrie, Seeger, Dylan, Baez e Cash si incontrano e si incrociano in locali e piano bar fotografati da Mangold in immagini calde, colorate ma strette e secche nel loro formato, da cui traspare l’odore di profumi e sigarette spente e consumate e di bicchieri di cui non si riesce a vedere il fondo. Tutto l’opposto di A Proposito di Davis di Joel ed Ethan Coen e delle sue immagini di luce tenue e soffusa per intenderci, e che di A Complete Unknown è un po’ il prodromo spirituale come lo fu Dave Van Ronk di Dylan.

A partire da quella celebre «Se non è mai stata nuova e non invecchia mai, allora è una canzone folk» che del film dei Coen è la linea dialogica che rimane più impressa alla visione e che nel racchiudere in sé l’essenza stessa del genere – narrazione, storia, tradizione – si pone come espressione testuale del cuore filmico di A Complete Unknown: vale a dire la sua musica. Perché i brani di Dylan, Baez e Cash, sono diventati il nuovo folk. Una nuova tradizione che parlava a un nuovo e più giovane pubblico e non invecchiano mai: Sono universali, unici, senza tempo e fuori dal tempo. Non può dirsi altrimenti per brani come Mr. Tambourine Man, A Hard Rain’s a-Gonna Fall, Don’t Think Twice It’s All Right, Blowin’ in The Wind, The Times They Are a-Changin, Folsom Prison Blues e Subterranean Homesick Blues.

Ma soprattutto Girl from the North Country di cui Chalamet e Barbaro ci regalano una cover indimenticabile che non ha nulla da invidiare all’originale che in tempi relativamente recenti è stata rispolverata da David O. Russell per Il Lato Positivo nella versione (la migliore in assoluto nda) cantata da Dylan stavolta in duetto con Cash. Ecco, più che un film di sensazionalismi registici o di particolari intuizioni narrative (il salto temporale dal 1961 al 1965 è prodigioso nel sottolineare tramite accenni caratteriali le mutazioni d’animo degli agenti scenici), quello di Mangold è un formidabile film di performance artistiche e di direzione di attori. Il lavoro compiuto da Chalamet, Barbaro, Norton (da Oscar!) e in minor misura (ma solo per ridotto screen time) da Holbrook è encomiabile e da studiare per mimica, immedesimazione e lavoro sulla voce, superando in volata opere gemellari come Bohemian Rhapsody, Rocketman ed Elvis.

E non solo in termini narrativi, vocali e di gestione delle coralità, perché la percezione, a visione ultimata di A Complete Unknown, è quella di aver assistito ad un biopic musicale di caratura decisamente superiore per respiro scenico e registico. A partire da come Mangold tratteggia il tono umano del racconto. Dylan e Sylvie Russo (una grandissima Elle Fanning di nuovo in una coppia scoppiata con Chalamet dopo Un giorno di pioggia a New York) immersi nel buio della sala a vedere un grande classico della Golden Age Hollywoodiana: Perdutamente tua. Film di Irving Rapper del 1942 con Bette Davis, Paul Henreid e Claude Rains di cui il regista ripropone proprio il finale con la celeberrima linea dialogica: «Oh, Jerry, non chiediamo la luna, abbiamo già le stelle» per poi tracciare un sofisticato parallelo con l’evoluzione del Dylan di Chalamet.

Trasformarsi, diventare qualcos’altro, diventare qualcun altro – nella vita come nell’arte – lasciare che il Bobby intimidito dalla presenza di Guthrie (un intensissimo McNairy) e dalla voce spezzata mentre esegue una struggente versione di Woody’s Song, sopravviva dietro agli occhiali scuri di quel Dylan maschera colorata, fantasiosa e spigolosa dentro cui rifugiarsi così da poter essere finalmente sé stesso. Per questo e per mille altre ragioni vi diciamo, correte a vedere A Complete Unknown. Una celebrazione totale, affettuosa e doverosa dell’uomo e dell’artista Bob Dylan attraverso il racconto di musica e rivoluzioni: Molto più di un semplice biopic!
- HOT CORN TV | Timothée Chalamet racconta il film
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- VIDEO | Qui per la cover di Girl From the North Country:
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