ROMA – Ma quante notti servono per riparare un amore? Forse trenta. Forse una vita intera. Forse certe ferite non si riparano, né rimarginano e il tempo non può bastare mai. Nel dubbio, Guido Chiesa, con il suo ultimo film – 30 notti con il mio ex, adesso al cinema – prova a tracciare una linea con un film che mescola affetto, fratture, disagi psichici e psicologici e commedia sentimentale, affidandosi a due interpreti che, insieme, sanno e possono alzare la qualità del racconto di una storia come questa: Edoardo Leo e Micaela Ramazzotti, reduci da esperienza molto diverse, lui dal successo di Follemente con Pilar Fogliati, lei da un altro amore da schermo, ovvero quello con Stefano Accorsi in Un amore, serie Sky.

Lui è Bruno (Leo), maniaco del controllo con la camicia stirata, sempre puntuale. Lei è Terry (Ramazzotti), ex moglie esplosa in pezzi, appena uscita da una comunità psichiatrica e pronta a tornare nel mondo reale, se quel mondo la vuole ancora. Il compromesso? Convivere per un mese sotto lo stesso tetto. Una sfida emotiva in cui i piatti volano, le maschere cadono e la figlia adolescente — interpretata con la giusta concretezza da Gloria Harvey — diventa il punto fermo che costringe i due adulti a guardarsi davvero. Forse per la prima volta. 30 notti con il mio ex non è solo (per fortuna) una commedia sugli ex, ma un film che prova – a tratti saggiamente – a parlare di fragilità mentale, di genitorialità imperfetta a volte troppo retoricamente narrata, e di ciò che resta dopo una crisi. Con l’ambizione (alta) di farlo senza pietismi, ma nemmeno con sufficienza.

La debolezza, forse, coincide con l’ambizione del film. A forza di cercare l’equilibrio tra risata e dramma, la sceneggiatura rischia di inciampare lì: nei toni. I momenti comici funzionano, i battibecchi tra Bruno e Terry sono godibili e sinceri, ma quando si entra nel terreno scivoloso del dolore psichico, il film perde un po’ la bussola. L’ambizione del voler dire qualcosa di più profondo si scontra con una superficie poco empatica. Leo è convincente nella sua gabbia emotiva, mentre la Ramazzotti, pur con qualche eccesso, riesce a dare corpo a un personaggio che vive sull’orlo del baratro ma non vuole cadere. La chimica c’è, ma viene servita a piccole dosi, forse per paura di strafare. Nei loro silenzi (e non nelle gag) il film dice le cose più interessanti.

La regia di Chiesa non si prende troppi rischi, ma trova qualche buon momento: un dettaglio fuori posto, una battuta che fa male, una canzone (quella di Malika Ayane) che arriva al momento giusto e rimane impressa più di molte scene. E così alla fine 30 notti con il mio ex è un film su ciò che non torna e non ritornerà mai: gli amori, le parole non dette, i pezzi di sé lasciati per strada. E sulle cose che, forse, non per forza devono tornare.
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