ROMA – Birra, diarrea e famiglie disfunzionali. Questi i tre elementi principali di 100 Litres of Gold, l’ottavo lungometraggio da regista del finlandese Teemu Nikki, che ad un solo anno di distanza dal bizzarro, eppure curioso La morte è un problema dei vivi, anch’esso presentato alla Festa del Cinema di Roma, torna a raccontare il grottesco e il nero dell’umanità più abbietta e disperata. In questo caso, al centro del racconto non vi è più la criminalità organizzata, né la spietata macchina cinematografica, capace di illuminare e al tempo stesso danneggiare le sue star – memorabile in questo senso Pene d’attore -, in modo irreparabile. Piuttosto, le famiglie, quelle più caotiche, violente, buffe e disfunzionali possibili della Finlandia. A Sysmä, cittadina di circa tremila abitanti, le sorelle alcolizzate Taina e Pirkko sopravvivono come meglio possono, vendendo illegalmente la birra Sahti, che su insegnamento del padre Veikko – altrettanto alcolizzato –, non hanno mai smesso di produrre. Tutti a Sysmä lo sanno e tutti vorrebbero conoscerne il segreto.

Eppure Taina e Pirkko, incredibilmente gelose e protettive, perfino in modo violento, nei confronti del loro desiderato prodotto, sono pronte a tutte pur di mantenere il segreto, a costo di rimetterci la vita. Cosa accade dunque quando una enorme partita di birra viene richiesta alle due, per un irrinunciabile matrimonio di famiglia e quella di loro produzione si perde nel nulla? Teemu Nikki, proponendo un’idea di cinema estremamente differente e atipica, rispetto ai precedenti titoli di filmografia, tenta di rispondere al quesito, osservando principalmente i registri e i linguaggi della commedia nera, mettendo dunque da parte, le dinamiche puramente thriller proprie di La morte è un problema dei vivi. Quelle stesse dinamiche che erano state capaci di rendere Nikki un autore sorprendentemente convincente, seppur ancora una volta bislacco e anomalo. Nel caso di 100 Litres of Gold tutto cambia. Niente più tensione, niente più adrenalina e così disperazione nei confronti di una morte imminente, declinata in chiave via via più pulp e drammatica.

Spazio alla risata, al demenziale e al nonsense. Prende piede infatti una stilistica inaspettatamente gioiosa, che ad una narrazione frenetica e frammentata, ne preferisce un’altra molto più rilassata e distesa, capace di allungare, forse fin troppo, perfino i momenti più insignificanti, almeno in apparenza. La sensazione però, è quella che lo stesso Nikki, superato un certo minutaggio, abbia smarrito la strada, senza più riuscire a ritrovarsi, firmando la regia di una lunga – se non addirittura estenuante – pubblicità in stile Loacker/Ricola, di una birra finlandese senza nome, cui prestano volto e corpo, due tragicomiche sorelle, legate prima dal sangue e poi dall’alcolismo. Poiché entrambe, in modo differente, della birra ne hanno fatta una dipendenza, trovando sollievo dai fantasmi e dalle colpe mai realmente assolte, di un incidente d’auto del passato, capace di mutare una volta per tutte i destini e le logiche di coesistenza delle due e così dell’intera e allargata famiglia cui appartengono, che per la medesima ragione e forse molto di più, non sembra affatto volerle lasciare in pace.

C’è fin troppa carne al fuoco nell’ultimo lungometraggio di Nikki, tanto che nulla o quasi finisce per esser trattato come invece dovrebbe e potrebbe. Dal dramma familiare scaturito dal matrimonio fallimentare dei genitori delle due, mai realmente affrontato, né in scrittura, né nella definitiva messa in scesa della stessa, all’inspiegabile incidente d’auto, che ha sconvolto inizialmente le sorti di una, per poi fare lo stesso con l’altra, approfondito solo in ultima battuta, soddisfacendo parzialmente la curiosità di chi fino a lì ha deciso di spingersi, senza – giustamente – scegliere di fermarsi prima. Fino all’inseguimento disperato, eppure taciuto nel corso degli anni, di una fuga necessaria, capace di separare le due sorelle per sempre, salvandole. Anche qui, le domande abbondano, scarseggiano invece le risposte. Il misterico però non è mai davvero tale, piuttosto l’incapacità di riempire uno spazio vuoto, lacerante, quello della sceneggiatura, mai tragicamente colmato. Senza dimenticare la traccia centrale ed entusiasmante del film, ossia la consegna dell’enorme quantitativo di birra per il matrimonio di famiglia, perduto per strada e infine recuperato.

Troppo tardi però. A divertire lo spettatore, sono in questo caso crani affettati a sorpresa da un’accetta e così diarree improvvise, riversate nella loro interezza sull’obiettivo della macchina da presa e negli occhi di chi guarda. Risulta complesso, anzi impossibile, interessarsi realmente alle sorti di Taina e Pirkko, che pur consapevoli della malattia e del disagio psicologico derivato dall’alcolismo, continuano imperterrite a compiere le peggiori idiozie, prive di significato e così di curiosità e divertimento. È un peccato, poiché nonostante tutto Elina Knihtila e Pirjo Lonka sono due interpreti efficaci, dai volti e corpi goffamente e ferocemente riconoscibili, dunque funzionali, a servizio di un film non altrettanto riuscito, 100 Litres of Gold, che spreco di potenziale, birra e diarrea.
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