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Good Luck | La sorpresa di Adachi Shin, l’occhio del Giappone e quel racconto

Al Far East Film Festival di Udine una delle visioni più spiazzanti della rassegna. Ma perché?

Good Luck
Vita e cinema, amore e film: una scena di Good Luck

UDINE – Arriva dal Giappone il film più particolare e asimmetrico del Far East Film Festival, non solo perché assomiglia più a un film di matrice occidentale, ma soprattutto per la sua ideazione e costruzione come un prodotto quasi anti-cinematografico: girato in una settimana, nel film si vedono alcune riprese realizzate con smartphone per quello che diventa praticamente un road movie al contrario, con sempre ben presente il concetto di film nel film. Non solo, perché non rispetta nemmeno le regole che ha imposto il mercato dell’audiovisivo negli ultimi anni. Good Luck di Adachi Shin è una vera e propria deviazione che mostra come ancora il cinema possa sempre travestirsi ed essere qualcos’altro, un film che mantiene un approccio ludico e sperimentale per legarci dentro però una riflessione profonda che finisce così per esplodere come una mina vagante, incontrollabile, e – per questo – più spiazzante.

Adachi Shin
Taro (Sano Hiroki) e Miki (Amano Hana) durante una scena di Good Luck.

La storia parte dal giovane regista Taro che ha realizzato un film indipendente con un iPhone incentrato sulla fidanzata Yuki («Ho pensato che filmare e riprendere la persona più importante della mia vita fosse una buona idea»), un montage di dialoghi e riflessioni quotidiane che riceve una menzione d’onore al Beppu Film Festival, nella prefettura di Oita, dove verrà proiettato. Taro allora da Tokyo parte per Oita e, dopo la proiezione, la moderatrice del festival lo accusa di aver realizzato un film noioso e gli dice che l’ha invitato solo per chiedergli il motivo per cui faccia cinema: «Perché riprendi solo lei e non riprendi te stesso?». Taro va a visitare la città e incontra una ragazza che gli dice di essere stata tra il pubblico e di aver apprezzato il film, ragazza che poi incontra il giorno dopo perché soggiornano nello stesso hotel.

Good Luck recensione
Un aspirante regista? Taro in un’altra scena del film

Miki è una donna libera e sorridente (l’archetipo della donna sfuggente e sfuggevole, che ricorda molto la protagonista di Burning), che non fa altro che viaggiare da sola e vive al di fuori delle aspettative dei genitori, degli amici e della società, e finisce per trasportare Taro in una frenetica e divertente avventura nelle prefetture di un Giappone sperduto tra cascate, fiumi e zone di camping. Un road trip che permette a Taro di pensare alla propria vita, di riordinare i cassetti della memoria che non aveva mai avuto il coraggio di aprire e sistemare, di farsi influenzare dall’estrema libertà e sincerità di Miki che riuscirà ad aprirgli nuove prospettive future e affidarsi ciecamente alla costante più libera di tutte: il caso.

Good Luck
Taro e Miki in un’altra scena del film

Good Luck è un perfetto film metanarrativo con all’interno un congegno postmoderno che permette al film di rimescolare le carte e assumere molteplici forme e significati. Adachi Shin si affida all’infrastruttura di una sceneggiatura destrutturata che gioca con lo spettatore e con i personaggi che si muovono all’interno di Good Luck per far emergere ancora più in modo universale e diretto le insicurezze del presente di un’intera generazione, lo spaesamento verso il futuro, il rimorso verso il passato e come queste tre direzioni si mescolino e influenzino ognuno di noi. Shin ha sicuramente guardato verso l’Europa e l’America (la forma da film stile Sundance è evidente e addirittura viene citato Prima dell’alba di Richard Linklater sul finale), ma Good Luck non perde mai le venature orientali e lo sguardo nipponico nel mettere in scena un esperimento visivo e narrativo che non può restare inosservato.

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  • VIDEO | Qui il trailer di Good Luck:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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