ROMA – Se Aki Kaurismäki e Pietro Marcello incontrassero Jane Campion, probabilmente girerebbero un gran film d’amore, esattamente come è Sulla Terra Leggeri, opera prima firmata dalla regista esordiente Sara Fgaier e ora finalmente al cinema. Un film sull’amnesia di un uomo, Gian (interpretato da Andrea Renzi), un professore di etnomusicologia che ha perso la donna della sua vita, e sul tentativo di ritrovare la memoria sia con l’aiuto di una figlia, Miriam (Sara Serraiocco) che non riconosce, che di diari e lettere che non ricorda di aver scritto e nemmeno letto. Ci siamo seduti a tavola a cena con la regista, con la produttrice Lucilla Cristaldi e la montatrice Aline Hervé per una conversazione approfondita su un’opera prima densa e potente assolutamente da non perdere.

Sara, Sulla Terra Leggeri è un film che per parlare d’amore mescola archivi, antropologia, morte e carnevali dionisiaci senza mai essere nichilista, mai nostalgico…
Sara: «L’intero progetto è nato perché cercavo una possibilità di creare un filo tra i vivi e i morti, perché credo che i morti non siano mai tali fino a quando noi non decidiamo di dimenticarli per sempre e lasciarli andare. Un uomo senza memoria non ha passato, diciamo che è come se qualcuno glielo avesse rubato. Deve ritrovare l’immagine di lei e la sua ricerca è precisamente quella dello spettatore: scoprono le cose assieme, ricostruendo i pezzi dell’amore piano piano».
Perché era importante raccontare la storia di quest’uomo che annulla la moglie, la figlia, la sua vita stessa?
Sara: «Perché a volte succedono dei fatti nella vita talmente duri, difficili, violenti, che per resistere al dolore li cancelli, li escludi dalla mente. Estremizzando, sarebbe un po’ come perdere la memoria. A volte scrivi delle cose, poi le rileggi dopo un po’ di tempo, ti guardi e dici: “Ma chi è che ha scritto queste parole”? Oppure ti crei una tua versione dei fatti, vai avanti con le stesse convinzioni per anni e anni. Spesso il tempo aiuta ed uscire da una paralisi ed un’amnesia perché accetti di accogliere i sentimenti diversi e perdoni».

Ma è la frustrazione della figlia a smuovere il padre?
Sara: «La figlia era teoricamente il personaggio meno sviluppabile. Chiusa in casa con il lutto per la madre, un piccolo figlio, da sola, e un padre che non la riconosce. Lei non accetta che il padre si trovi nella perdita degli affetti, verso la moglie, verso la figlia e verso il nipote. È un personaggio bellissimo e cruciale, perché resiste, non rinuncia mai».
Una parte importante di Sulla Terra Leggeri ha a che fare con la tua ricerca antropologica sul carnevale. Cosa ti interessa dei riti liberatori?
Sara: «Per oltre due anni ho raccolto immagini di vari carnevali, tra cui quello di Ovodda, in Sardegna, dove c’è un lato dionisiaco, ma al contempo anche un’atmosfera molto cupa. Ero incuriosita e spaventata all’idea che potesse succedere di tutto. In quel contesto non hai più dei riferimenti, perché non puoi essere uno spettatore, ma devi partecipare a quello che vedi. Mi aveva impressionato il fatto che il rapporto tra morte e rinascita avesse una dimensione collettiva. È da li che mi è scattata l’idea: ritualizzare il lutto».

Il film ha una scrittura molto complessa per un primo film. Non hai avuto paura di perderti avventurandoti in questo tipo di film?
Sara: «Sapevo che non avrei potuto farlo da sola. Mi hanno aiutato persone che hanno da sempre costeggiano la mia vita. Ho lavorato ai film di Pietro Marcello per dieci anni ed è meraviglioso che mi abbia aiutato con Avventurosa, la società di produzione (fondata nel 2008 da lei e da Marcello, nda), senza farne pesare la presenza. Poi c’è stato anche Marco Alessi di Dugong Films e chi ha creduto in questo progetto dal primo istante: Serena Alfieri e Lucilla Cristaldi».
Lucilla: «Fin dalla prima stesura della sceneggiatura ci appassionava questo parlare di amore come fosse uno strumento rivoluzionario. Solo riuscendo a recuperare il rapporto con l’immagine interna di lei, ci si può separare, recuperando infine la propria identità e il rapporto con la figlia».

Sara, nel montaggio hai ritrovato il tuo marchio di fabbrica, l’uso degli archivi, che usavi nei film di Marcello. Che equilibrio c’è stato tra scrittura e montaggio?
Sara: «La ricerca si è basata su 16 archivi per 8 minuti. Mi affascinano per quello che possono generare, sono fantasmagorici, hanno la possibilità di aprirsi verso un’immaginazione differente. Ma sono anche immagini che mi hanno ossessionato e ho rischiato di perdermi. All’origine sono una montatrice, ma con l’arrivo di Aline Hervé, il film è cambiato».
Aline: «Sì, perché con gli archivi non hai il limite del materiale. Non c’è cosa più bella per un montatore. Le cose che sono in archivio non riusciresti mai a girarle. Se giri una scena hai troppa intenzione, l’archivio ti ci porta. E’ il documentario che aiuta la finzione; è la finzione che diventa reale. Ora in tantissimi li usano. È raro che si arrivi ai livelli di Pietro e Sara.
Sara: «Aline è stata la mia maestra come montatrice. Grazie al suo aiuto ho fatto fuori dal film, ho tolto quello che non era mio, quello che avevo accettato dagli interventi esterni. E sono tornata a quella che era la storia originaria».

La voce fuori campo fa avanzare a storia attraverso la lettura del diario di lui e le lettere di lei. Ne è nata una scrittura poco filmica e molto poetica.
Sara: «Ma perché il film doveva costruirsi su una voce letteraria, per creare un rapporto non lineare tra immagine e parola. Per molto tempo ho raccolto dei testi dalla mia libreria. C’erano sottolineature lontane negli anni, ma era come se ci fosse un filo rosso che cercavo inconsciamente».
Lei gli dice: “Hai deciso di dimenticarmi… cosa fai tu dei tuoi sogni?”
Sara: «La scrittura aveva a che fare con la ricerca di questo amore, bello e irrazionale. Se coscientemente puoi anche provare a cancellare un amore di quel tipo, credo che comunque un giorno ti potrà apparire in sogno. Ecco: volevo che la dimensione onirica fosse risolutiva…».
- VIDEO | Qui il trailer di Sulla Terra Leggeri:
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