TORINO – Un treno che non passa, il set, il palco e un racconto firmato da Luigi Pirandello. Dopo averlo portato a teatro, Gabriele Lavia riabbraccia L’Uomo dal fiore in bocca per farne un film, girato facendo incontrare tradizione letteraria e la maestria di alcuni 3D artist. Così, tra innovazione e tradizione, il film prodotto da One More Pictures ci porta in Una stazione ferroviaria in Sicilia. Nella sala d’aspetto ci sono due persone. Uno è L’uomo dal fiore in bocca, l’altro è Il pacifico avventore, che ha perso il treno a causa dei numerosi pacchetti regalo acquistati per la sua famiglia e che gli hanno reso difficile la corsa. I due si raccontano la loro vita, ma mentre il pacifico avventore parla delle sue frustrazioni familiari, l’altro sembra voler indirizzare tutto verso un unico argomento: la morte. Tutto sembra avvolto nel mistero. E chi è la donna che fuori dalla stazione osserva la situazione? Così, a proposito del film e del “valore” dell’attesa, abbiamo intervistato proprio Gabriele Lavia, prima della presentazione dell’opera al Torino Film Festival. Il film è su Rai Play dal 30 dicembre.

Gabriele, vedendo L’uomo dal fiore in bocca viene fuori tutta la contemporaneità di Pirandello.
Pirandello è un genio, uno dei più grandi autori della storia, rimane attuale come lo sono solo i grandi autori. Non può mai essere fuori moda.
Il film alterna il set, il palco, e le nuove tecnologie visive. Come hai lavorato su questi aspetti?
Per quello che riguarda la parte virtuale dovevo stare attento a non inquadrare pezzi di scena che potessero scontrarsi con il lavoro virtuale. Perché, nonostante non sia Guerre Stellari, il film si avvale di alcuni effetti visivi. In fondo a tecnica ha bisogno di cura, sempre. La tecnica è precisa. Un metro è un metro. La nostra esistenza è approssimativa, la tecnica no.

La prima regia al cinema risale al 1983, Il Principe di Homburg. Quanto sei cambiato da quel film?
Lavoro soprattutto a teatro, faccio alcune cose di cinema, e ogni tanto mi presto… quanto sono cambiato? Beh, ci provo, faccio così faccio colà, ma soprattutto realizzo sempre degli storyboard prima delle riprese, facendolo vedere all’operatore e al direttore dei cartoni fotografia. Del resto vengo dai cartoni animati, e i disegni aiutano a far capire l’idea.

Con te ci sono Michele De Maria e Rosa Palasciano, come li hai scelti?
Michele aveva fatto con me a teatro lo spettacolo, mentre Rosa l’ho trovata a Bari, dove stavamo girando. Ha un primo piano e pochi istanti, ma rappresenta la morte…
L’attesa ne L’uomo dal fiore in bocca è la protagonista. Come la vivi?
L’attesa non è mai qualcosa di superficiale. Viviamo sempre in attesa, che sia vita normale o vita d’attore. L’attesa è la parte più lunga della nostra vita. Per chi fa questo lavoro, l’attesa è studiare sempre, sempre. E molti miei colleghi attendono e non studiano. Invece bisogna studiare…
Dietro le quinte del film:
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