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Dentro l’atelier di un genio | Alla Fondazione Prada nella mente di Jean-Luc Godard

Il luogo sacro del regista a Milano in una mostra permanente. Ecco perché è un’esperienza da fare

Jean-Luc Godard
Jean-Luc Godard: scomparso nel 2022, era nato a Parigi.

MILANO – Il silenzio. Qualche suono. Poi la musica. Ancora silenzio. Alcune cartoline appese alla parete. Un vecchio ciak di Le Bolero Fatal. Un ritratto di Kafka. Varcando la soglia de Le studio d’Orphée – che trovate allestito permanentemente alla Fondazione Prada di Milano (qui) – si ha la sensazione di entrare in un luogo sacro, intoccabile. L’atelier di Jean-Luc Godard, definito così da lui stesso per sottolineare il carattere artigianale della sua attività, ricrea il suo luogo di lavoro e di vita, a Rolle, in Svizzera, dov’è scomparso il 13 dicembre del 2022, in seguito al suo suicidio assistito all’età di 91 anni. Muovendosi tra le mura, ci si aspetta quasi di vederlo comparire da un momento all’altro, seduto sulla poltrona oppure alla scrivania, intento a concepire le sue opere, a sistemare il montaggio tra gli schermi. Si ha quasi paura di disturbare.

Fondazione Prada
La stanza di Godard ricreata alla Fondazione Prada di Milano.

La possibilità di vedere concretamente e da vicino l’ambiente che circondava uno dei geni della storia del cinema nel pieno del processo creativo, immaginare che quegli oggetti abbiano fatto da decorazione alla nascita di molte sue opere, è un’esperienza di enorme valore, difficile da articolare in parole. L’immersione nella visione di Godard è amplificata dai cortometraggi che si susseguono sullo schermo al centro della stanza, che il regista usò per lavoro. Forse meno conosciuti rispetto ai film che l’hanno consacrato alle vette del cinema, Fino all’ultimo respiro solo per citarne uno, ma infinitamente importanti. Testimoniano quello che viene definito il terzo periodo della cinematografia di Godard, caratterizzato da una sperimentazione tesa ad una critica delle immagini tramite le immagini stesse. Voci, suoni, frammenti, istanti di cinema si susseguono senza posa, affascinando e coinvolgendo.

Jean-Luc Godard Prada
Il cappello e uno dei cappotti di Jean-Luc Godard.

Così, ecco i frammenti sonori rimbalzare nelle orecchie dei visitatori, da On s’est tous défilés, Je vous salue Sarajevo e De l’origine du XXIème siècle a Une bonne à tout faire e Une catastrophe, passando per Les enfants jouent à la Russie, The Old Place, Liberté et Patrie e Vrai faux passeport. Tutti a formare un percorso che, tra associazioni di immagini e sovrapposizioni di episodi moderni e classici (c’è anche La strada di Fellini), porta all’ultima, grande creazione di Godard: Le livre d’image, presentato a Cannes nel 2018. Una riflessione sul cinema, sul ruolo che le immagini avevano, hanno e avranno, sulla fede nella loro potenzialità, a partire dalle scintille che partono dal fuoco sempre alimentato della storia del cinema. E all’inizio nell’ascensore della Torre, come un rito d’iniziazione, i visitatori possono ascoltare la colonna sonora di Histoire(s) du cinéma.

Godard Prada
Il ritratto di Hannah Arendt e il ciak di Le Bolero Fatal, che non girò mai.

Histoire(s) du cinéma è un’opera video iniziata nel 1988 e conclusa solo dieci anni più tardi,  suddivisa in otto capitoli, raccolta di estratti di film e giornali, romanzi, scritti filosofici e opere d’arte che vanno a formare, uniti, la storia della settima arte. Proprio in Histoire(s) du cinèma il regista pronunciava una massima che riassumeva, in qualche modo, un verdetto sul cinema: «Anch’io avevo creduto per un momento che il cinema autorizzasse Orfeo a voltarsi senza far morire Euridice. Mi sono sbagliato. Orfeo dovrà pagare». Parole che celano in sé anche un significato più complesso e intrinseco, la correlazione tra il regista e il protagonista del mito greco, quella che diventa un continuo dialogo, che attinge allo stesso modo sia dalla vita che dall’immaginazione, in uno scambio reciproco tra esistenza e creazione.

Godard Prada Atelier
La riproduzione del Leone d’oro vinto da Jean-Luc Godard a Venezia nel 1983.

All’interno della stanza, situate proprio in fondo, ci sono anche due sedie e una panchina per sedersi, in modo che lo spettatore – o visitatore, come preferite – possa sedersi e sentirsi parte di quel mondo per qualche minuto o anche più a lungo, perché non c’è alcuna fretta. In un angolo, tra i libri (c’è anche Normance di Celine, se ci fate caso) e molti oggetti, c’è anche la riproduzione del Leone d’oro vinto da Godard alla Mostra di Venezia nel 1983 con Prénom Carmen. Insomma, Le Studio d’Orphée più che una banale visita museale è un’occasione unica non solo per sentirsi vicini al processo creativo di una delle leggende del cinema, ma anche per riflettere sul senso e sul potere dell’immagine, sulla necessità del vuoto da colmare e su cui pensare prima di trasformarlo in qualcosa. Non perdetela.

  • GUIDE | Come riscoprire Godard in streaming
  • VIDEO | La presentazione de Le Studio d’Orphée

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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