ROMA – Ogni storia merita un degno finale. Chiudere tutte le parentesi aperte durante il racconto, dare risposte a ogni singola domanda rimasta sospesa. E quando questo avviene con solidità e potenza, il risultato è un finale che non avresti potuto immaginare diversamente. Uno di quelli in ogni incastro è così ben collaudato da mettere in moto le conseguenze di tutto ciò a cui lo spettatore ha assistito pazientemente. Una di quelle conclusioni che trova il suo toccante compimento proprio nei suoi momenti finali che, nonostante la loro completezza, possono pur sempre lasciare spazio a fantasticherie sulla strada che da quell’istante in poi intraprenderanno i personaggi. Un po’ come già avvenuto con l’ultima stagione di Breaking Bad.

Pur riponendo ogni tassello al proprio posto e adempiendo, così, a una conclusione soddisfacente e in linea con i dettami della serie, Vince Gilligan ha voluto regalare ai suoi personaggi (e ai suoi fan) una compiutezza narrativa. Come? Con un’ulteriore parentesi, per spingersi oltre quell’ultima puntata della quinta stagione, offrendo la definitiva via di fuga al suo protagonista Jesse Pinkman (Aaron Paul). El Camino è questo: percorrere una strada che punta verso il futuro, per dimenticare così ogni singolo tormento del passato. È l’andare a scavare nelle vessazioni subite e che l’ideatore della serie – nonché regista e sceneggiatore del film – vuole lasciare alla spalle, dovendole però guardare in faccia per un’ultima volta, prima di potergli dire addio.

Legato a doppio filo e parte integrante di Breaking Bad, El Camino pone la premessa necessaria della conoscenza delle vicende e dei legami pregressi della serie, ma ciò che sembra aver perseguito Gilligan è la realizzazione di un film che potesse reggere indipendente sulle sue gambe. Pur richiamando le atmosfere della Albuquerque di Walter White e Jesse Pinkman, che torna, risuona, si accende delle medesime sfumature cromatiche, El Camino presenta una struttura filmica che mostra il talento della messinscena di Gillian alle prese con un epilogo in cui ammirarne le capacità di autore e cineasta.

Dilatando propri tempi, ma afferrando il ritmo con cui entrare in azione e disseminando indizi per tutti gli appassionati della serie, il film di Gilligan ristabilisce lo stesso determinato stile nella composizione, nelle angolazioni e nella fotografia, che sostengono con fedeltà la nuova, nonché ultima (dis)avventura del personaggio di Aaron Paul. Segnato, afflitto, sfigurato da quelle cicatrici che, pur proiettandosi verso altri luoghi, rimaranno sempre visibili sul suo volto. L’attore porta la pesantezza della segregazione di Jesse, ne rivela la sottomissione nei flashback di ciò che è stato e tutta la risolutezza, sofferta e quanto mai esausta, di voler andarsene e di poterlo finalmente fare.

Sulla necessita o meno di donare un’ulteriore tassello a Breaking Bad e al suo Jesse Pinkman, sull’interrogarsi quanto il film aggiunga o meno ad una serie che ha approfondito l’analisi dell’antieroe e delle sue azioni, quella fuga sulla Chevrolet rivela il desiderio di una tregua che, mai come ora, sembra poter essere raggiunta. Una riconciliazione che mette in relazione Vince Gilligan e i suoi fan con il destino del loro protagonista, pronto a saltare per l’ultima volta alla guida della El Camino, senza doversi più voltare indietro.
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