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Reservation Dogs | Le nuvole dell’Oklahoma e una serie (molto) diversa dalle altre

Otto puntate sviluppate da Sterlin Harjo e Taika Waititi per FX. In Italia in streaming su Disney+

Reservation Dogs
I quattro protagonisti di Reservation Dogs.

ROMA – Il titolo originale, Reservation Dogs, ricorda Le Iene di Quentin Tarantino ma qui i quattro anti-eroi protagonisti sono minorenni e gli abiti neri li indossano solo brevemente. Giusto il tempo per commemorare il primo anniversario della morte del loro amico Daniel che fa da legame e da stimolo agli eventi della storia. Però il loro scopo, nonostante l’età, non è dissimile a quello portato avanti nel cult del 1991: accumulare soldi, con ogni mezzo necessario, per trasferirsi in California. Ma poiché sono giovani, stupidi e impulsivi, i loro crimini tendono ad essere tanto futili quanto innocui. La serie si apre addirittura con loro che dirottano un camion pieno di patatine piccanti. Ma, al netto dell’incipit, lo show FX in otto puntate – in Italia su STAR di Disney+ – sviluppato da Sterlin Harjo e Taika Waititi interseca in modo stupefacente la cultura contemporanea a quella dei nativi americani.

reservation dogs
Le Iene? Non proprio…

Lo show ci porta dentro le compassate giornate dei protagonisti, con i lunghi attimi che scorrono nel cuore profondo dell’Oklahoma, a Okmulgee. Loro sono Elora, Bear, Cheese e Willie Jack, interpretati da quattro folgorazioni: Devery Jacobs, D’Pharoah Woon-A-Tai, Lane Factor e Paulina Alexis. Nel loro mondo ci sono anche gli adulti, ma, per esempio, la madre di Bear, Rita (Sarah Podemski), è troppo impegnata a cercare un nuovo (e ricco) marito per notare quello che fa il figlio, mentre lo sceriffo locale Big (Zahn McClarno) non è tra gli agenti più brillanti in circolazione. Reservation Dogs affonda le radici in una narrazione intimista, con il plot che segue le disavventure dei quattro, tra dramma e commedia, devastati dalla perdita del loro amico. Dunque, bisogna mantenere vivo il sogno, l’obiettivo di correre in California e mollare per sempre quella terra dimenticata ma, sotto sotto, simbolo dell’America più vera.

Devery Jacobs, D'Pharoah Woon-A-Tai, Lane Factor e Paulina Alexis in Reservation Dogs
Devery Jacobs, D’Pharoah Woon-A-Tai, Lane Factor e Paulina Alexis in Reservation Dogs

Più di tutto Reservation Dogs è una serie di forte impatto narrativo, pur volendo essere leggera e a tratti quasi naif. La forza principale sta nel fatto che Harjo e Waititi hanno costruito uno spettacolo accessibile sia per la Generazione Z quanto per i genitori, inserendo negli episodi riferimenti che qualsiasi cinefilo degno di nota può individuare in una storia che sembra originale eppure riconoscibile. È un universo che richiede un episodio o due per entrare nel mood, perché le sensibilità comiche e drammatiche sono diverse, incostanti e mutevoli, ma alla fine sorprende e meraviglia, illustrando in modo poetico il perché vale la pena raccontare la vicenda di questo gruppo di teenager, con le implicazioni di essere nati e cresciuti in una riserva indiana.

Reservation Dogs
Una scena della serie

È raro vedere una serie che evochi un senso del luogo come lo evoca Reservation Dogs (forse Atlanta, forse Luke Cage), e qui ci troviamo in un luogo rurale e affascinante, ma la riserva che da il titolo allo show è anche una comunità in cui la magia della connessione ancestrale si trova ovunque, anche se contaminata da sprazzi di cultura hip-hop, dando alla messa in scena un approccio creativo e spettacolare. E al di là degli omaggi filmici (Platoon e Boyz n the Hood su tutti), uno dei modi in cui la serie mostra questa miscela è proprio attraverso l’uso della musica. Non solo le leggende rock come gli Stooges, ma anche Broncho, JD McPherson e artisti sperimentali come The Halluci Nation e Samantha Crain. Tutti danno una profonda e stratifica anima alla serie, che vuole essere una sorta di omaggio ad una comunità e ai suoi residenti. Raccontati e fotografati solo ed essenzialmente per ciò che sono davvero.

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