MILANO – E pensare che Il Trono di Spade ha rischiato di non essere mai realizzato. Il pilot, Winter Is Coming, diretto da Tom McCarthy nel 2009 fu un tale disastro sotto il duplice profilo narrativo e registico che nessuno, si pensava, avrebbe mai investito in una produzione tanto rischiosa. Dieci anni dopo la serie di David Benioff e D.B. Weiss basata sulle Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R. R. Martin ha rivoluzionato il modo di concepire e realizzare una serie tv, diventando, di fatto, il fenomeno pop del XXI secolo.
La serie dei primati. La più vista illegalmente, la più costosa – gli episodi dell’ultima stagione hanno raggiunto un budget di 15 milioni -, la più seguita – 30 milioni di spettatori a puntata, 53 milioni di visualizzazioni solo il trailer dell’ottavo capitolo -, la più commentata – in questi giorni fiumi d’inchiostro digitale scorrono sul web -, la più controversa – criticata per la sua violenza e l’iniziale rappresentazione del femminile -, la più parodiata – da memes a gif passando per video e sketch comici -, la più remunerativa – videogiochi, merchandise, turismo, la più premiata – 47 Emmy sullo scaffale.
Mentre a giugno inizieranno le riprese del prequel creato da Martin e Jane Goldman, confermati nel cast Naomi Watts, Miranda Richardson, Jamie Campbell e Naomi Ackie, Il Trono di Spade si appresta a congedarsi dal piccolo schermo. Il 14 aprile la HBO manderà in onda la prima delle sei puntate che compongono la stagione finale, la cui attesa ha assunto i contorni di un evento collettivo.
Dal trono gigante posizionato al Rockefeller Plaza alla première alla presenza del cast al Radio City Music Hall di New York, il conto alla rovescia è ufficialmente iniziato e le teorie, le supposizioni, i dettagli analizzati alla ricerca di una certezza non si contano nemmeno più. Tutto mentre Emilia Clarke ha confidato in un lungo racconto sul New Yorker dei due aneurismi che l’hanno colpita quando aveva appena finito di girare la prima stagione della serie che l’avrebbe resa una star e i suoi protagonisti si preparano a lasciare, una volta per tutte, Westeros.
Ma perché Il Trono di Spade ha avuto così tanto successo? In molti rintracciano il momento preciso in cui tutto è cambiato nel finale della prima stagione, quando Ned Stark (Sean Bean), personaggio centrale, viene ucciso ad Approdo del Re per volere di Re Joeffrey (Jack Gleeson). La sequenza che ha mostrato il vero volto dello show, la sua totale audacia e voglia di spingersi oltre i paletti di una narrazione sicura e al riparo da rischi. Una scelta che ha influenzato non solo i successivi copioni di GOT ma anche produzioni agli antipodi che hanno visto come un altro modo di raccontare era possibile.
Era il 17 aprile del 2011 quando il primo episodio della serie venne trasmesso dalla HBO. Quell’anno, secondo i dati raccolti da John Koblin del New York Times, furono prodotte 266 serie in America. Un numero esiguo rispetto alle 495 del 2018. In una manciata di anni, sotto i nostri occhi, l’industria della serialità è esplosa. Merito certo di player e piattaforme in continuo mutamento che hanno investito in produzioni originali ma anche del successo di serie come Il Trono di Spade capaci di assottigliare sempre di più il confine che, un tempo, teneva separati cinema e televisione.
Non è un caso, quindi, se i sei episodi finali hanno una lunghezza più simile a quella di un film che a un episodio televisivo. Ennesimo primato per uno show capace di conquistare un pubblico trasversale, in grado di allargare a dismisura il suo bacino di spettatori e che tra battaglie epiche, draghi, alleanze e tradimenti ha ridisegnato il modo di intendere e vivere la serialità. Con buona pace di chi è alla ricerca del proprio “Trono di Spade” (vedi la serie tv ispirata a Il Signore degli Anelli o le grandi produzioni messe in cantiere da Apple Tv). E in attesa del 14 aprile rimane una sola domanda: chi siederà sul trono?
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Qui potete vedere il trailer de Il Trono di Spade 8:
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